È un 25 aprile strano quello di oggi. Un 25 aprile ancora segnato dalla pandemia, reso drammatico dalle immagini della guerra, caratterizzato dai tanti attacchi che l’Anpi, l’Associazione nazionale dei partigiani, ha ricevuto nei giorni e nelle settimane scorse. È il 25 aprile successivo all’attacco fascista alla sede della Cgil dell’ottobre scorso, tristemente anticipato da tanti, troppi, attacchi alle sedi sindacali del nostro territorio.

“La discussione sul fascismo mai morto - diceva qualche tempo fa Luciano Canfora - non è cominciata avant'ieri, ma dura da quando Mussolini è stato appeso a Piazzale Loreto. Nel suo Golia, tradotto in Italia nel 1946, Giuseppe Antonio Borgese volle dare un messaggio chiaro: il fascismo è caduto, ma dipenderà da noi la sua definitiva scomparsa. Devo ricordare l’intervento parlamentare di Concetto Marchesi nel 1949: il fascismo non è morto, ma ha varcato l’Atlantico? E ci siamo dimenticati del conflitto violentissimo suscitato nel 1960 dall’allora premier Tambroni con la sua apertura al Movimento sociale? (…) Esistono varie forme e incarnazioni del fascismo ma l’elemento comune ai diversi movimenti e alle diverse personalità è il sentimento razzistico del rifiuto del diverso”.

Un sentimento, una sensazione di pericolosa presenza mai come in questi ultimi tempi concreta, attuale, tangibile. Una presenza che mai come oggi ci spinge a resistere, a non essere indifferenti, a essere partigiani.

Diceva Luciano Lama nei terribili giorni del rapimento Moro:

In questo 25 Aprile 1978 la nostra Italia è sottoposta a una grande prova, la più tremenda, certamente, dalla Liberazione a oggi. Conquiste essenziali realizzate trentatré anni fa che parevano irreversibili, definitive, sono messe in discussione dall’aggressione armata che è in atto contro lo Stato e la società civile. E’ giusto, in questo anniversario, ritornare senza retorica alle ragioni della nostra lotta di allora per ricavare da questa riflessione i motivi di un rinnovato impegno giacché noi, partigiani, non siamo mai stati e non saremo mai un gruppo di reduci, di ex combattenti che si perdono nel ricordo di gesta passate, magari gloriose. Perché abbiamo combattuto contro i fascisti e i tedeschi? Perché abbiamo rischiato la vita, perduto, nelle montagne e nei crocevia delle nostre campagne, nelle piazze delle nostre città migliaia dei nostri compagni e fratelli, i migliori? Perché siamo insorti, con le armi, quando il nemico era tanto più forte di noi?
Noi abbiamo lottato allora per la giustizia e per la democrazia, per cambiare l’Italia, per renderla libera. Eravamo giovani allora, e, oltre il coraggio, molte delle nostre idee erano certamente confuse, non sempre la ragione riusciva a dominare l’illusione e l’utopia. Ma la nostra lotta era fondamentalmente guidata, illuminata dalla volontà di distruggere la tirannide che aveva governato il Paese sopprimendovi ogni libertà e lo aveva portato alla guerra e alla catastrofe.
Io ho combattuto in Emilia, prima nell’8° Brigata Garibaldi e poi dalla sua formazione nella 29a Brigata Gap. Ebbene nelle discussioni che facevamo sulle montagne dell’Appenino nel terribile inverno ‘43 - 44 e poi, nelle buche scavate nei campi sotto il granturco durante l’estate del ‘44, la ragione della libertà, l’odio della dittatura, il diritto di esprimerci liberamente, di conquistare uno Stato diverso, permeava ogni nostro sentire, costituiva la molla potente per il nostro agire. E anche dopo, negli anni duri che seguirono la fondazione della Repubblica e l’avvento della nuova Costituzione, anche dopo, l’anelito di libertà e l’ansia di giustizia che avevano segnato indelebilmente la lotta di Liberazione, continuarono a rappresentare le ragioni più profonde e più vere del nostro impegno.

Un impegno costante che giorno dopo giorno continuiamo a portare avanti, con la consapevolezza di servire una causa grande una causa giusta.

“A chiamarci a questa celebrazione - diceva il 25 aprile 2019, l’ultimo prima della pandemia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - sono i martiri delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema e di tanti altri luoghi del nostro Paese; di Cefalonia, dei partigiani e dei militari caduti in montagna o nelle città, dei deportati nei campi di sterminio, dei soldati di Paesi stranieri lontani che hanno fornito un grande generoso contributo e sono morti in Italia per la libertà. (…)  È il dovere, morale e civile, della memoria. Memoria degli eventi decisivi della nostra storia recente, che compongono l’identità della nostra Nazione da cui non si può prescindere per il futuro”.

“Il 25 aprile del 1945 nasceva dalle rovine della guerra - proseguiva il presidente - una nuova e diversa Italia, che troverà i suoi compimenti il 2 giugno del 1946, con la scelta della Repubblica e il primo gennaio 1948 con la nostra Costituzione. Il 25 aprile vede la luce l’Italia che ripudia la guerra e s’impegna attivamente per la pace. L’Italia che, ricollegandosi agli alti ideali del Risorgimento, riprende il suo posto nelle nazioni democratiche e libere. L’Italia che pone i suoi fondamenti nella dignità umana, nel rispetto dei diritti politici e sociali, nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione fra i popoli, nel ripudio del razzismo e delle discriminazioni”.

L’Italia che vogliamo, quell’Italia alla quale vogliamo bene e che dobbiamo e vogliamo rappresentare. Quell’Italia repubblicana, antifascista, pacifista e democratica che dobbiamo difendere e consegnare alle future generazioni.

“Finché ci animerà un alito di vita - diceva Sandro Pertini - noi anziani staremo al vostro fianco per abbattere gli ostacoli che sono sul vostro cammino, onde voi possiate percorrerlo con passo sicuro e spedito. Staremo al vostro fianco per batterci con voi. E a voi oggi noi consegniamo la bandiera della Resistenza. Consegniamo a voi il patrimonio politico-morale della Resistenza, perché lo difendiate, perché possiate trarre da questo patrimonio le norme per la vostra vita e i principi per la vostra lotta politica, purché sia una lotta democratica, combattuta sul terreno della democrazia. Ecco il mio saluto, giovani che mi ascoltate: avanti voi oggi perché l’avvenire è vostro. E con voi, ora e sempre Resistenza!”.

E con voi, ora e sempre Resistenza. Buon 25 aprile compagne e compagni. Che sia un 25 aprile d'impegno, di lavoro, di pace.