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Gli studenti e le studentesse tornano a far rumore. Oggi (14 novembre) è mobilitazione in tutta Italia. Scuola e università, pezzi diversi del sistema d’istruzione, accomunati però da politiche del governo che non solo non investono, ma operano torsioni politiche in direzioni fortemente securitarie.
Il lancio della giornata di protesta è a Roma, dalla terrazza del Pincio, alle 7 del mattino, il corteo della Capitale parte alle 9.30 da viale Glorioso, ma sono previste manifestazioni da Nord a Sud.
Contro un’istruzione per pochi
“Crediamo in una scuola diversa, alternativa, che tuteli il diritto allo studio, che ascolti gli studenti e che sia capace di non lasciare indietro nessuno”, spiega Angela Verdecchia, coordinatrice nazionale della Rete degli studenti medi.
Che aggiunge: “Mentre scuole e atenei cadono a pezzi, gli studenti si ritrovano a passare ore su mezzi di trasporto inadeguati. I costi per proseguire il proprio percorso di studi sono sempre più elitari, e le carenze strutturali dell’istruzione pubblica si rendono progressivamente più evidenti”, mentre invece “il governo decide di stanziare 964 miliardi di euro per il riarmo, continuando però a tagliare in istruzione pubblica e sul futuro di noi giovani generazioni”.
“Vogliamo un’università accessibile”, si legge in un post su Instagram dell’Udu, perché “studiare non può essere un lusso”. Oggi, ricorda il sindacato studentesco, “entrare e restare all’università significa affrontare costi che crescono ogni anno: tasse, libri, materiali, affitti”, in un Paese in cui è disponibile appena un alloggio pubblico ogni 20 studenti e lo scandalo degli idonei alle borse di studio ma “non beneficiari”.
Nella stessa giornata si mobilitano anche Uds (l’Unione degli studenti) e Fridays for future, perché i temi dell’istruzione sono strettamente legati a quelli del clima e del modello di sviluppo. “È sempre più importante, viste soprattutto le continue riforme sempre più repressive proposte da questo governo, non smettere di ricordare che un modello di scuola alternativo a quello attuale, e un sistema diverso da quello che vivamo quotidianamente sono possibili”, ha spiegato il coordinatore nazionale dell’Uds Tommaso Martelli.
Per una scuola democratica
Nella “piattaforma d’autunno” intitolata “Non fermerete il vento” - lo stesso slogan scelto per la mobilitazione - Rete e Udu elencano nel dettaglio le richieste di studenti e studentesse. In Italia - si legge nel testo - studiare è sempre più un privilegio: i costi dei libri, delle tasse, dei trasporti e dei materiali gravano quasi interamente sulle spalle delle famiglie, per questo “vogliamo una scuola davvero gratuita, accessibile e universale, dove il diritto allo studio sia garantito a tutte e tutti, senza barriere economico-sociali”. Dunque: libri scolastici e materiali scolastici gratuiti, cancellazione del contributo volontario richiesto alle famiglie e un aumento progressivo e costante della spesa pubblica per l’istruzione fino ad almeno il 5% del Pil.
Altra nota dolente quella dell’edilizia scolastica, con il 90% delle scuole che non possiede tutte le certificazioni obbligatorie: “Le aule sono troppo spesso sovraffollate e le strutture - specie se datate - presentano evidenti barriere architettoniche, che non le rendono accessibili a chiunque”. Per questo, si legge nella piattaforma, “vogliamo investimenti programmatici e sistemici sulla messa in sicurezza delle aule ed edifici scolastici, soprattutto se situati in zone ad alto rischio idrogeologico o sismico”.
Una deriva autoritaria
Ma una scuola della Costituzione, che sia veramente inclusiva e democratica, oggi deve necessariamente aggiornare anche la metodologia didattica: “Chiediamo una didattica che rompa con i modelli eurocentrici, patriarcali e militarizzati, capace di includere prospettive plurali, saperi marginalizzati e storie rimosse. Una didattica che valorizzi la cooperazione, il pensiero critico e l’autonomia di chi apprende”, e anche per questo occorre “superare la lezione frontale come unico modello di insegnamento e sperimentare metodi didattici partecipativi, laboratoriali e interdisciplinari”.
Tutto il contrario di ciò che sta facendo il ministro Valditara: il modello di istruzione che sta costruendo, infatti, “ha l'evidente obiettivo di educare all’obbedienza, in contrapposizione con il reale compito dell’istituzione scolastica”, un modello repressivo che “si esplicita con il processo di aziendalizzazione dell’istituzione scolastica, con l’accentramento di poteri e responsabilità - un tempo distribuiti tra gli organi collegiali democraticamente eletti - nelle sole mani del dirigente scolastico, con le riforme del voto in condotta”.
No anche ai Pcto (la nuova alternanza scuola-lavoro) che “assume tratti di vera e propria educazione allo sfruttamento” in cui gli studenti diventano “manodopera gratuita, troppo spesso senza tutele e senza alcun valore educativo” e per questo “chiediamo l’abolizione della formazione scuola-lavoro e la costruzione di percorsi formativi che pongano realmente al centro gli studenti, e non gli interessi delle imprese”.
E poi la salute mentale. Gli studenti ricordano come l’Italia sia fanalino di coda in Europa, con investimenti di meno del 3% del Fondo sanitario nazionale mentre invece è sempre più necessaria “l’istituzione di sportelli di assistenza psicologica in ogni scuola e università, con personale formato e stabile, e programmi di prevenzione contro lo stigma e l’isolamento”.
Per un’università aperta a tutti
Al centro della mobilitazione anche i temi relativi all’università a partire, come si diceva, dal diritto allo studio. Dopo anni di denunce, recentemente anche il ministero ha confermato che sono almeno 9 gli atenei che superano il vincolo del 20% del rapporto tra contribuzione studentesca e Fondo di finanziamento ordinario e dunque sono a tutti gli effetti fuorilegge. Dunque occorre da un lato una riforma più equa del Fondo e poi l’innalzamento della NoTaxArea nazionale a 30.000 punti Isee “come primo passo verso la completa gratuità degli studi”.
Duro anche il giudizio sulle recenti iniziative sulla governance delle università con gli interventi su Anvur e consigli di amministrazione che puntano a porre gli atenei sotto stretto controllo governativo. No anche al numero chiuso - l’università deve essere aperta a tutti - e alla trovata del semestre filtro per medicina che di fatto non lo abolisce ma lo posticipa e che, si legge nel documento, “si sta già dimostrando un disastro. Gli studenti e le studentesse sono sottoposti a un forte stress e a un clima di ansia costante, costretti a vivere i primi mesi di università come una competizione permanente”.
Pace e Palestina: basta armi
La presa di posizione è molto netta: “Vogliamo l'immediata interruzione di ogni accordo con enti e istituzioni israeliane, nonché con tutte le aziende belliche, a partire da quelle coinvolte con il genocidio in Palestina, elencate nel Report dell'Onu redatto da Francesca Albanese”. Più in generale gli studenti e le studentesse chiedono che “il governo smetta di investire in armi e morte e preveda il 5% del Pil su scuola, università e ricerca”.
Un governo che invece, vale la pena ripeterlo, ha deciso di investire più di 900 miliardi in armi e nulla, come è evidente anche nell’ultima legge di bilancio, nel sistema d’istruzione, a partire dai tanti precari in attesa di stabilizzazione nella scuola e nella ricerca che proprio questa settimana si sono mobilitati: lavoratori e studenti insieme, come si diceva un tempo, e d’altra parte anche la Flc Cgil ha pienamente appoggiato la mobilitazione di oggi 14 novembre.
























