Seimila precari su 25 mila addetti totali. È questo lo stato dell’arte della ricerca pubblica italiana. Un quarto delle lavoratrici e dei lavoratori in un settore chiave per lo sviluppo del Paese non sanno se e per quanto tempo potranno continuare a fare ricerca negli enti pubblici italiani. Il tutto in una situazione di complessivo sottofinanziamento del comparto. Per questo motivo oggi (11 novembre) la Flc Cgil ha proclamato una mobilitazione: l’appuntamento è alle 10 in piazza Capranica insieme ai movimenti dei precari.

“Nella legge di bilancio 2026 – commenta sconsolato Nicola Angelini, responsabile ricerca del sindacato della conoscenza della Cgil – su questi temi non c’è nulla. Un solo articolo, il 107, in cui si sbandiera un roboante Piano nazionale della ricerca, che però è un intervento di natura solo ‘organizzativa’: si prendono fondi già esistenti e li si accorpa in un unico fondo denominato Piano triennale che non fa altro che spalmare nel tempo, soprattutto verso l’ultimo anno, quanto già previsto nelle passate leggi di bilancio”. Insomma: zero investimenti per la ricerca, zero investimenti per le stabilizzazioni e conferma del blocco del turn-over al 75% per il 2026.

Non solo: “Ancora non abbiamo idea di come si riverserà sugli enti il taglio operato sui ministeri - fa notare il dirigente Flc – perché magari il Mur riuscirà un po’ a contenerlo, ma poi ci sono enti di ricerca vigilati da altri ministeri e questi non è che li trattino con i guanti: se devono fare un taglio lineare del 10% su tutte le voci di spesa, difficile pensare che non tocchino anche i finanziamenti ordinari degli enti”.

Troppi precari

Il quadro della precarietà nella ricerca pubblica è disarmante. Dei circa 6 mila di cui si diceva, metà hanno contratti a tempo determinato, l’altra metà sono parasubordinati, soprattutto assegni di ricerca e co.co.co. I primi in proroga perché l’assegno di ricerca non è più utilizzabile dopo la legge Draghi 79/2022 che li ha aboliti sostituendoli con il contratto di ricerca.

Questo sulla carta perché questo nuovo tipo di contratto, che avrebbe dovuto essere di tipo subordinato, attacca Angelini, “il governo di centrodestra praticamente non l'ha mai finanziato e alla fine ha approvato una norma che reintroduce altre due figure precarie. Poiché la legge non è esplicita, inoltre, gli enti di ricerca nei loro regolamenti, diversamente da quanto hanno fatto le università, hanno poi scritto che il contratto di ricerca doveva intendersi come parasubordinato. Un’operazione che ha un fine chiaro: sottrarli il più possibile ai processi di stabilizzazione consentiti dalle norme”.

Il che è grave anche perché, tra le condizioni per avere i fondi del Pnrr c’era proprio quello di attivare il contratto di ricerca, cosa che accade in tutta Europa: in Germania, per fare un esempio, anche un dottorando è trattato come un lavoratore dipendente.

Dove stanno i precari

La metà dei precari, cioè 3 mila, sono al Cnr: e rappresentano più di un terzo degli addetti a tempo indeterminato che sono 8 mila. Numeri molto alti anche all’Infn (l’istituto nazionale di fisica nucleare, che ha ancora tantissimi assegni di ricerca) e all’Inaf (l’Istituto nazionale di astrofisica): insieme questi tre enti fanno circa 4.400 precari. Ma anche realtà più piccole sono indicative di questo sbilanciamento: il Crea è a oltre quota 300, mentre l’Ogs (l’istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, con sede a Trieste) ha 300 unità di personale a tempo indeterminato e 100 precari.

È una situazione che ciclicamente va avanti da 20 anni –con bacini di precariato che fatalmente si ricreano – e che si sta inasprendo per via dei progetti legati al Pnrr su cui, dopo le stabilizzazioni che si sono avute con la legge Madia (n° 75/2017), sono di nuovi stati assunti grandi contingenti di precari che, senza interventi dal centro  (giacché i fondi ordinari degli enti sono insufficienti)  vedranno i loro contratti esaurirsi nel 2026. Con il Pnrr sono, tra l’altro, nati nuovi progetti di ricerca, laboratori, strutture che rischiano di perdersi senza il contributo di queste persone che li hanno messi in piedi.

Servono 300 milioni

Secondo i calcoli della Flc Cgil per stabilizzare lavoratrici e lavoratori occorrerebbero 300 milioni, finanziamento di cui, come detto, non c’è nessuna traccia nella legge di bilancio. Ma come si è giunti a tutto questo? “È una delle gravi conseguenze – risponde Angelini – prodotte dalla manfrina ideologica degli anni 90 e grazie alla quale il finanziamento ordinario e strutturale degli enti pubblici di ricerca – dal quale poi derivava anche il finanziamento dei vari progetti – è stato ridotto all'osso, spostando la gran parte delle risorse su progetti competitivi. Quindi: arrivano i soldi per progetti che durano qualche anno, si assumono i precari, ma poi, una volta finito il progetto, non sono risorse per stabilizzarli.

Per questo serve un finanziamento straordinario che dovrebbe andare in legge di bilancio e tale da consentire di aprire nell’arco del 2026 le necessarie procedure di stabilizzazione. Pensare di risolvere questa situazione con il turn-over non porta da nessuna parte”, conclude Angelini.

È proprio per questo che oggi le persone sono piazza, così come sarà importante scioperare il 12 dicembre per cambiare una legge di bilancio del tutto insoddisfacente.