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La quarta manovra del Governo Meloni è la prova plastica che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. A volte, un vero e proprio oceano, perché alle promesse del primo presidente donna sulla centralità che le questioni di genere avrebbero avuto nelle politiche del governo, hanno fatto seguito provvedimenti piuttosto annacquati e sbiaditi, proprio come quelli contenuti nell’ultima manovra.
Indietro verso la famiglia tradizionale
La Legge di bilancio, in coerenza rispetto a tutti gli altri provvedimenti adottati dal governo nel corso di questi anni, dimostra che la donna esiste solo in quanto madre. Il vecchio stereotipo della “donna angelo del focolare”, così rafforzato, si traduce in una totale assenza di incentivi al lavoro delle donne che siano pensati a prescindere dalla presenza di figli nelle loro vite. Come se le donne meritassero supporto solo all’interno del perimetro della famiglia tradizionale.
Niente per le donne senza figli
Ma gli ultimi dati Istat disponibili ci mostrano che in Italia il 45,4% delle donne di età compresa tra i 18 e i 49 anni è senza figli, e sono in aumento le coppie childfree, ovvero quelle che rinunciano volontariamente alla scelta della genitorialità.
Poco per quelle che li hanno
Ma la manovra che dimentica i single e le donne senza figli, si ricorda poco anche delle madri che tanto le sono care, almeno in teoria. Lo dimostra, nella pratica, la decisione di abrogare Opzione Donna, che dava la possibilità a migliaia di lavoratrici di anticipare l’età della pensione, provando a tenere conto dell’enorme lavoro di cura non retribuito, nei confronti dei figli e dei familiari. Una misura non da poco, in una società che è ancora lontana nella realtà dal concetto di genitorialità condivisa.
Il paradosso del disincentivo alla natalità
Una recente ricerca condotta da ActionAid rivela che tra i milennials e gli appartenenti alla Gen Z, il 74% delle donne continua a occuparsi da sola dei lavori domestici, mentre il 41% delle madri si occupa da sola dei figli, contro appena il 10% dei padri. E tuttavia, nella manovra sono assenti o poco incisivi gli incentivi all’occupazione delle madri. Si pensi alla decontribuzione per le imprese che assumono donne disoccupate: le candidate devono esserlo da almeno sei mesi e avere almeno tre figli a carico, se non di più. Sono stati, inoltre, respinti tutti gli emendamenti delle opposizioni per il congedo paritario, mentre il congedo facoltativo, seppure elevato fino ai 14 anni del bambino/a, resta retribuito al 30% dello stipendio. Secondo l’ultima indagine Istat sulle intenzioni di natalità, il 65% delle ragazze tra i 18 e i 24 anni ritiene che la maternità peggiori le proprie condizioni di lavoro. Quasi un quarto delle ragazze è convinta di non avere le garanzie economiche sufficienti per mettere al mondo un figlio: salari troppo bassi, precarietà, misure di sostegno alle famiglie e servizi all’infanzia inadeguati.
Bonus al posto di diritti
Temi, questi, assenti dalla manovra. Viene invece riconfermato il bonus mamme lavoratrici, rivolto a coloro che hanno un reddito annuo fino a 40 mila euro e minimo due figli, con un’integrazione fino a 60 euro mensili. La misura, tuttavia, resta un bonus, come la maggioranza dei provvedimenti assunti. Non, dunque, misure sistemiche ma iniziative sporadiche, sotto forma di “regalo”, beneficio, concessione. Si pensi – per citarne uno – al contributo di 500 euro, attivo nel 2025 per famiglie con figli tra 6 e 14 anni, per coprire costi di sport, corsi e attività ludiche. Destinata solo a nuclei con un Isee sotto i 15 mila euro, la misura taglia fuori migliaia di famiglie con un Isee entro i 30 mila euro, che non possono certo definirsi “ricche”.
Violenza di genere, nessun intervento sistemico
Viene portato da 500 mila a 5,5 milioni di euro il fondo per il reddito di libertà, destinato a supportare l’uscita da situazioni di violenza, e ne viene istituito uno di 6 milioni per sostenere chi denuncia abusi, con gli stessi benefici di chi ha un Isee pari a zero. Misure necessarie, certamente, ma manca ancora una volta la visione d’insieme. La violenza, soprattutto quando si configura come economica, è il frutto di una complessa rete di fattori, che vanno contrastati attraverso politiche che incentivano l’occupazione femminile, piuttosto che iniziative una tantum.
Le donne a casa, gli uomini al lavoro
In generale l’occupazione femminile, seppur salita al 53%, mantiene un gap di genere di 18 punti, che posiziona l'Italia al 24° posto su 27 in Europa. Inoltre il 44% delle donne in età lavorativa è inattivo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha più volte ribadito che il suo governo avrebbe difeso e supportato le lavoratrici e la famiglia. Ma a quanto pare, purché sia tradizionale: le donne a casa e gli uomini a lavorare.






















