La storia, ogni tanto, sbaglia strada e prende servizio in corsia quattro, reparto casse. Non ha medaglie né tappeti rossi. Ha un badge, uno scontrino, un turno da coprire. Fabio Giomi, cassiere in un supermercato di Siena, non cercava notorietà, cercava giustizia. Ha fatto una cosa semplice e per questo scandalosa. Ha difeso la propria dignità.

Il cosiddetto test del carrello è una messinscena travestita da morale aziendale. Non misura l’onestà, misura l’obbedienza. È una trappola che trasforma il lavoro in una colpa da dimostrare ogni giorno. Non devi sbagliare, non devi discutere, non devi nemmeno pensare. Devi passare i prodotti e tacere. Se inciampi, la colpa è tua. Sempre.

Il punto non è il singolo licenziamento, ma il messaggio che lo precede e lo segue. Lavora come ti diciamo o diventi sacrificabile. È un modello che governa con la paura, che umilia e che scambia il rispetto con la disciplina. Non vuole persone. Vuole funzioni. Intercambiabili, silenziose, punibili.

Il rifiuto di Giomi incrina questa architettura. Mette in discussione un’idea di lavoro fondata sull’obbedienza preventiva e sulla colpevolizzazione permanente. Qui non c’è un gesto isolato. C’è una crepa. Un sistema che pretende affidabilità ma pratica il sospetto. Che predica etica e organizza trappole. Che esige fedeltà senza riconoscere diritti.

Questa storia non parla solo di supermercati. Parla a chi timbra e scompare, a chi firma per necessità, a chi abbassa la testa per arrivare a fine mese. Per questo Fabio Giomi è la nostra persona dell’anno. Non per eroismo, ma per coerenza. In un tempo che premia il silenzio lui ha scelto di non adeguarsi. Ha ricordato una verità elementare e per questo insopportabile per molti. Senza rispetto per chi lavora non esiste ordine, non esiste economia, non esiste società che possa dirsi civile.

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