Il Mediterraneo è l’area della tortura e dell’abuso. Un’espressione forte, ma necessaria alla luce dei dati i dati dei pazienti sopravvissuti a tortura, assistiti dal team di Medici Senza Frontiere. La ricerca è stata condotta a Palermo in collaborazione con l’azienda ospedaliera universitaria Policlinico “Paolo Giaccone”, il Dipartimento Promise, la Cledu (Clinica legale per i diritti umani) e l'Università degli studi della città. I numeri sono stati diffusi nel rapporto internazionale “Disumani”, in occasione della Giornata mondiale in supporto delle vittime di tortura.

Uomini torturati, donne stuprate

Il quadro che emerge è sconcertante: le vittime sono soprattutto uomini, età media 25 anni. Poco più della metà delle torture documentate sono avvenute in Libia, mentre un terzo in 9 Paesi considerati “sicuri” dall'Italia. Non va meglio per le donne: l’80% delle pazienti ha subito uno o più episodi di violenza sessuale. In generale, il 67% presenta sintomi da stress post-traumatico e solo il 22% ha ottenuto lo status di rifugiato, malgrado le terribili difficoltà affrontate.

Le violenze e il dolore cronico

Il rapporto va poi nello specifico. Le torture riscontrate sono percosse, frustate, bruciature, rimozione delle unghie, folgorazioni, soffocamento. Tutte pratiche che possono avere una grave ricaduta sia a livello fisico che psicologico: “Il dolore cronico - afferma la Ong - rappresenta una conseguenza comune tra le persone sopravvissute, considerando la brutalità fisica di molte pratiche di tortura che in alcuni casi vengono inflitte in modo ripetuto”.

Conseguenze fisiche e psicologiche

Oltre alle conseguenze fisiche, “che comprendono sintomi muscoloscheletrici (15%), all'apparato digerente (12%), neurologici (9%), oculistici (6%) e ginecologici (6%), la tortura lascia anche profonde cicatrici persistenti e debilitanti in termini di salute mentale, che tendono a influenzare tutti gli aspetti della vita della persona”, prosegue Medici Senza Frontiere.

Ma, come detto, alla sofferenza non corrisponde lo statuto di rifugiato, che si ferma al 22%: “Il 5% è titolare di protezione sussidiaria – si legge -. Il resto dei pazienti non solo deve affrontare le conseguenze fisiche e psicologiche della tortura, ma si ritrova anche in una condizione di vulnerabilità e precarietà giuridica”.

Le responsabilità dell’Italia

Il rapporto insomma racconta le “conseguenze devastanti” di queste violenze sulla vita di migliaia di persone. Torture inflitte “in mancanza di vie legali e sicure per la ricerca di protezione, che dimostrano la necessità di percorsi e servizi integrati di cura e impongono maggiore attenzione, responsabilità e risposte adeguate da parte dei Paesi di accoglienza, a partire dall'Italia”.

Tortura diffusa in tutto il Mediterraneo

Quanto all’orrore raccontato dagli intervistati, si tratta di “forme di violenza estrema”. Queste “sono un elemento strutturale e diffuso lungo la rotta migratoria mediterranea”. A dirlo è Elisa Galli, responsabile del progetto di Msf a Palermo.

Le violenze “lasciano cicatrici profonde e durature, che vanno trattate con un percorso di cure, che permette la ricostruzione della propria identità e di ritrovare fiducia negli altri e speranza nel futuro”. Un supporto specialistico adeguato dunque “è essenziale – conclude -, affinché la vita di queste persone possa ricominciare, a partire dalla loro salute”.