È di circa due mesi fa la notizia della morte di un ragazzo marocchino gay a Trento. Era arrivato in Italia attraverso la richiesta di protezione speciale, per sfuggire alle discriminazioni, alle barbare aggressioni verbali e fisiche avallate anche dall’articolo 489 del codice penale in Marocco: “Atti osceni contro natura con un individuo dello stesso sesso”, secondo cui oltre le sanzioni pecuniarie si rischia dai 6 mesi ai 3 anni di detenzione.

Aveva un lavoro e stava imparando la lingua italiana, poi la commissione territoriale che doveva decidere sul suo accoglimento sul territorio italiano gli aveva chiesto se fosse sicuro di essere gay. Aveva risposto di sì. Ma la commissione territoriale non gli ha creduto. Pochi giorni dopo il respingimento da parte dell’Italia con l’imposizione di rientro in Marocco, è morto per overdose.

Nei giorni precedenti era spaventato all’idea di continuare a essere perseguitato. Il pubblico ministero ha aperto un’inchiesta e richiesto un’autopsia per capire il legame fra il suicidio e il respingimento, soprattutto in virtù del fatto che il ragazzo non aveva una storia di dipendenze da sostanze stupefacenti.

In Italia circa un anno fa il governo Meloni ha avviato un progetto di legge per eliminare identità di genere e orientamento sessuale dalle motivazioni con cui una persona Lgbtqi+ perseguitata nel Paese di origine possa ottenere protezione speciale nel nostro paese. Sebbene la modifica dei criteri della legge sia ancora in discussione, alcune commissioni territoriali hanno già recepito lo spirito di non accoglienza che anima la destra al governo.

Un aspro attacco anche ai diritti dei migranti Lgbtqi+, seguito dal decreto Cutro e successive modifiche con la legge n. 50/23, pochi mesi dopo l’accordo Italia-Albania, e con il “Patto per la migrazione e asilo”, che legalizza un sistema di detenzione, trattenimento, violazioni della privacy attraverso lo screening di dati biometrici, i quali limitano il diritto a migrare per cause legate alle condizioni materiali, a quelle economiche, di sicurezza, di sopravvivenza e che acuiscono le discriminazioni: una vera e propria deportazione.

Come se non bastassero le guerre, l’inasprirsi in molti Stati delle leggi anti-Lgbtqi+ dell’ultimo anno, in Russia, Iraq e molti Paesi africani e asiatici, ma anche muri, fili spinati, respingimenti, morti in mare, i continui provvedimenti nazionali, l’accerchiamento che distrugge i diritti umani e il diritto internazionale continua sul fronte italiano anche attraverso l’autonomia differenziata.

Il disegno di legge Calderoli potrebbe creare una profonda spaccatura nel Paese determinando conseguenze sociali ed economiche gravissime non solo sui diritti in materie fondamentali come la salute e la scuola, tanto da parlare di secessione dei ricchi, ma anche rispetto a una materia non espressamente prevista che è stata chiamata in causa da una proposta della Regione Veneto che in virtù della presunta attuazione dell'art. 116 comma terzo della Costituzione vorrebbe delegare a sè il "Rafforzamento del ruolo della Regione nel controllo e nella gestione dei flussi migratori".

Una materia che per sua natura e per impatto sociale coinvolge l'intero ambito comunitario, eppure la Regione Veneto non solo vorrebbe poteri e autonomia nel disciplinare l'entità dei flussi migratori regionali sulla base del fabbisogno lavorativo territoriale ma poi pretenderebbe di avocare a sé la potestà legislativa di “introdurre misure complementari di controllo in collaborazione con gli ispettorati territoriali del lavoro al fine di contrastare situazioni di irregolarità”.

Un’ulteriore profonda spaccatura tra le Regioni più progressiste, più disponibili all'accoglienza e quelle ideologicamente contrarie, con norme di ingresso e condizioni al permesso di soggiorno non omogenee su tutto il territorio nazionale.

In assoluta contraddizione con la disciplina comunitaria che prevede la libera circolazione dei cittadini nello spazio Schengen e di validità del permesso di soggiorno nell'ambito del medesimo spazio, con il decreto Calderoli si assisterebbe invece a una incomprensibile limitazione che non solo mette a dura prova l'unità nazionale ma che mina alla base l'unità e la tenuta dell’Unione Europea.

Tale criticità risulta ancora più evidente se si considera che tra le materie oggetto di autonomia differenziata figura anche l'organizzazione della “giustizia di pace”, ovvero proprio quella cui è attribuita la competenza giudiziaria sulle espulsioni, con l'effetto di avere in materia una autonomia normativa, esecutiva e giudiziaria.

Il progetto di dividere l’Italia in tante dissonanti autarchie ha radici vecchissime e sarebbe un’involuzione non solo economicamente pessima perché dividerebbe il Paese ancora di più fra ricchi e poveri, ma anche perché produrrebbe gravi differenziazioni sul versante dei diritti civili.

Al contrario sarebbe fondamentale, nonché strategico, in questa società e in questo mercato del lavoro sempre più globalizzato, proprio in virtù delle grandi migrazioni climatiche, socioeconomiche, causate dalle restrizioni e dalle limitazioni dei diritti umani in molti Paesi, così come provocate dall’escalation dei conflitti, tenere presente i bisogni multidimensionali specifici delle persone, mettere in campo azioni di lobbying, di advocacy e di compaining che abbiano un approccio intersezionale, allargando le alleanze fra enti, organizzazioni, associazioni, comitati e società civile.

Tutto ciò tenendo presente che esiste una differenza sostanziale fra equità e uguaglianza; che mettere in atto un approccio intersezionale significa percorrere la strada giusta per lottare contro le discriminazioni multiple, contro l'aumento delle disuguaglianze all'interno delle disuguaglianze e contro l'aumento delle oppressioni all'interno dell'oppressione; che l'imposizione della classificazione razziale, di genere, di classe, di identità e orientamento sessuale, di buona salute della popolazione è di per sé la colonizzazione dei corpi e dei diritti strettamente connessa al patriarcato.

Comprendere come le diverse forme di discriminazione agiscono per opprimere, continuare e aumentare le disuguaglianze nella società, sul posto di lavoro e nelle scuole è uno strumento idoneo a costruire una società scevra dalla discriminazione, dall'oppressione e permeata dalla pace.

Per questo, oltre a continuare a contrastare questa ulteriore controriforma che mira a cancellare la Costituzione nata dalla Resistenza e quindi la vera essenza della Repubblica, il prossimo 25 maggio saremo presenti alla grande manifestazione della Via Maestra a Napoli con partenza da piazza Mancini alle ore 13.30, che sfilerà in corteo fino a Piazza Dante “Per un’Italia capace di futuro, per un’Europa giusta e solidale”.

Mario Zazzaro, responsabile Nuovi diritti Cgil Napoli e Campania

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