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Dal 2019 i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 30,1 per cento. Un terzo in più rispetto a sei anni fa. Lo dice l’Istat, nella nota sull'andamento dell'economia. La crescita registrata in Italia è inferiore rispetto alla media dell’Europa a 27, ma da noi c’è un’aggravante: mentre i prezzi sono aumentati, gli stipendi e le pensioni sono rimasti fermi.
La media registrata nella Ue per lo stesso periodo per cibo e bevande non alcooliche è infatti pari a più 39,2. Ci superano Germania con più 40,3 per cento e Spagna, più 38,2, mentre in Francia l’aumento è stato leggermente inferiore, 27,5.
Aumento dei prezzi, calo dei salari
D’altro lato però l'Italia ha registrato il calo più significativo dei salari reali tra tutte le principali economie dell'Ocse, secondo l’Employment Outlook 2025, che fornisce i dati aggiornati a inizio anno: nel nostro Paese gli stipendi hanno continuato ad andare in picchiata, facendo registrare un meno 7,5 per cento rispetto al 2021.
Anche nelle previsioni per il futuro prossimo venturo siamo la Cenerentola d’Europa: i salari nominali, cioè l’importo in busta paga (che va distinto dal salario reale, che è invece il potere d’acquisto effettivo), dovrebbero aumentare del 2,6 per cento nel 2025. Ben al di sotto della Spagna, più 19 per cento, della Germania, più 18, e della Francia, più 14 (fonte Ocse).
Come riempire il carrello?
Difficile quindi risalire la china dei rincari con questi livelli retributivi: se si analizza il solo 2025, con quell’ipotetico più 2,6 per cento dovremo riempire un carrello con cibo e bevande che aumenta del 4,2 per cento, mentre quello con i beni alimentari, per la cura della casa e della persona mostra un’accelerazione dell’inflazione che passa dal 3,2 di luglio al 3,5 per cento di agosto (valori tendenziali).
Senza contare gli aumenti record, che riguardano prodotti che si trovano ogni giorno sulle nostre tavole: dal 2019 sono saliti ben oltre il 30 per cento i prezzi del burro (più 601 per cento), dell’olio d’oliva (più 53,2), del riso (più 52), del cacao in polvere (più 51), del caffè (più 47), dello zucchero (più 37) e delle uova (più 34). Sopra la media generale anche i rincari per i settori del pollame, della frutta e dell'acqua minerale.
Disuguaglianze e lavoro povero
“Questo andamento fa crescere le disuguaglianze anche in campo alimentare, favorite dal fenomeno del lavoro povero – afferma Federconsumatori in una nota -. È di pochi mesi fa il dato allarmante della Caritas che rileva come il 23,5 per cento degli italiani si trova in condizioni di povertà pur lavorando. Dati che vanno di pari passo con la fotografia restituita dal recente Rapporto Coop (Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani, ndr) che mostra un’Italia in cui i consumi sono dettati dalla necessità e a trainare il mercato in questo settore sono le spese fondamentali. Spese sulle quali, in ogni caso, le famiglie continuano a operare dei tagli: dal punto di vista della qualità, avendo già tagliato tutto il possibile sul fronte della quantità”.
Il deconsumismo
Sempre più attenti al risparmio, dal carrello della spesa alle abitudini di tutti i giorni, i cittadini puntano su prodotti indispensabili e preferiscono quelli di seconda mano o la riparazione di oggetti vecchi piuttosto che la loro sostituzione con modelli nuovi.
È quella che il report Coop definisce l’era del “deconsumismo”, dove la tendenza a diminuire la spesa è la forza motrice principale delle abitudini del 42 per cento delle famiglie. Per fare un esempio: anche nei settori dove gli italiani tornano effettivamente a spendere, su tutti la tecnologia, lo fanno privilegiando l'utilità alla gratificazione, tanto che gli acquisti annui di smartphone si riducono di 2 milioni di unità rispetto al 2022.
Spesa e rinunce
Federconsumatori denuncia da tempo le rinunce delle famiglie, prima fra tutti il consumo di carne e pesce ridotto del 16,9 per cento, con uno spostamento anche verso tagli e qualità meno costosi e meno pregiati. L’incremento della tendenza a ricercare offerte, sconti, acquisti di prodotti prossimi alla scadenza (abitudine adottata dal 51 per cento dei cittadini) e l’aumento della spesa nei discount (più 12,1 per cento) sono gli altri indicatori delle difficoltà contingenti.
Ma in questo autunno le famiglie dovranno fare i conti anche con altri rincari: condominio (più 3,3), energia (più 2,4), riscaldamento (più 1,7), visite mediche (più 1,5). In totale, 3 mila euro da sborsare nel trimestre settembre-novembre.