È, purtroppo, una vera e propria sentenza: “L'Italia ha registrato il calo più significativo dei salari reali tra tutte le principali economie dell'Ocse". A inizio del 2025 nel nostro Paese gli stipendi continuano ad andare in picchiata, facendo registrare un -7,5% rispetto al 2021. A renderlo noto è la stessa Ocse con il suo Employment Outlook 2025 che fornisce i dati aggiornati a inizio anno.

E così se il governo rimarca trionfante che i salari sono comunque cresciuti, Andrea Bassanini, uno dei relatori del rapporto, ha dichiarato all’Ansa che “a livello di comparazione internazionale non è una situazione superlusinghiera: molti paesi Ocse sono andati meglio. La media dei salari reali nell'Ocse ha recuperato, in Italia ancora no. Tra tutti i grandi Paesi l'Italia è sotto in una situazione di salari anemici che precede la crisi del costo della vita. Sono 25 anni che i salari in Italia crescono meno che negli altri Paesi Ocse".

Gli stipendi continueranno a non crescere

E il futuro non si prospetta roseo. Per l'Ocse, infatti, "la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere modesta nei prossimi due anni. I salari nominali in Italia dovrebbero aumentare del 2,6% nel 2025 e del 2,2% nel 2026. Questi aumenti sono significativamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell'Ocse, ma dovrebbero garantire comunque ai lavoratori italiani modesti guadagni in termini reali, dato che l'inflazione dovrebbe raggiungere il 2,2% nel 2025 e l'1,8% nel 2026".

È la morsa che ben conosciamo: sulla modesta crescita dei salari si abbatte l’inflazione che si mangia quel poco di incremento. Il risultato è che oggi si può essere poveri pur lavorando. Tra l’altro con un ribaltamento rispetto al passato nel rapporto tra anziani e giovani: se nel 1995 i secondi guadagnavano in media l’1% in più rispetto ai primi, nel 2025 gli anziani sono arrivati a guadagnare il 13,8% in più dei giovani.

Male anche per quanto riguarda i tassi di occupazione e disoccupazione. Come si legge ancora nel rapporto, “il tasso di occupazione in Italia rimane significativamente inferiore alla media Ocse (62,9% rispetto al 70,4% nel primo trimestre del 2025)".

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Il peso del calo demografico

Il discorso non cambia per il tasso di disoccupazione. Se è vero, come rivendica il governo, che il tasso di disoccupazione a maggio è sceso al 6.1% (3 punti in meno rispetto all’inizio della pandemia), la media Ocse è significativamente più bassa: 4,9%.

Sul futuro della nostra economia pesa poi il pesante calo demografico che si prevede di qui al 2060, quando la popolazione in età lavorativa dovrebbe ridursi del 34% con forti ricadute sul Pil pro capite (oltre che sull’equilibrio del sistema previdenziale), che scenderà dello 0,67%.

Cosa fare? L’Ocse suggerisce tre ricette: innanzitutto ridurre il gap occupazionale tra uomini e donne che in Italia è tra i più alti. Questa misura consentirebbe da sola una crescita annua del Pil dello 0,3%. La seconda ricetta dovrebbe consistere nel mantenere più a lungo al lavoro gli anziani in buona salute e, infine, favorire l’arrivo e l’integrazione nel nostro sistema produttivo di lavoratori e lavoratrici migranti. Per l’Ocse aumentare il tasso di migrazione – che in Italia è uno dei più bassi dell'Ocse - consentirebbe di guadagnare ancora quasi 0,2% percentuali di Pil.

Un fatto è chiaro, la questione salariale è fondamentale perché in essa si tengono insieme il diritto dei lavoratori a condurre una vita dignitosa e la crescita di un sistema economico sano e sostenibile perché fondato su una crescita e uno sviluppo di equo.