Il 2 giugno 1946 in Italia si vota per il referendum istituzionale tra monarchia o repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente.  Per la prima volta a livello nazionale sono chiamate al voto anche le donne che avevano già votato nelle amministrative del marzo precedente in base a quanto stabilito dal decreto legislativo luogotenenziale del 1 febbraio 1945 n. 23 e dal decreto legislativo luogotenenziale del 10 marzo 1946, n. 74.

Alla fine gli italiani sceglieranno la repubblica, con 12.718.641 di voti contro i 10.718.502 della monarchia. Il voto referendario fotograferà chiaramente un’Italia divisa in due: in quasi tutte le province a nord di Roma vincerà la repubblica; in tutte quasi le province del centro e del sud si imporrà la scelta monarchica.

La scelta repubblicana ottiene il risultato più ampio a Trento con l’85 per cento dei consensi e più basso a Napoli con il 79 per cento dei voti in favore della monarchia. Non tutti gli italiani avranno l’opportunità di votare. Non voteranno i militari prigionieri di guerra o internati che lentamente cominciano a ritornare e non voteranno i residenti delle province di Bolzano e Trieste. 

Il sistema elettorale scelto per l’elezione della Assemblea costituente è quello proporzionale, con voto diretto, libero e segreto a liste di candidati concorrenti in 32 collegi plurinominali per eleggere 556 deputati (la legge elettorale prevedeva l’elezione di 573 deputati, ma le elezioni non si effettuarono nell’area di Bolzano, Trieste e nella Venezia Giulia, dove non era stata ristabilita la piena sovranità dello Stato italiano).

Come si diceva, per la prima volta a livello nazionale sono chiamate al voto anche le donne. Ma anche in questo caso non voteranno tutte le donne italiane. Saranno escluse dal diritto di voto attivo le donne citate nell’articolo 354 del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: si trattava delle prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro concesso di esercitare la professione.

In base al risultato delle urne, l’Assemblea costituente risulterà così composta: Dc 35,2%, Psi 20,7%, Pci 20,6%, Unione democratica nazionale 6,5%, Uomo qualunque 5,3%, Pri 4,3%, Blocco nazionale delle libertà 2,5%, Pd’A 1,1%.

Le elette donne saranno 21 su un totale di 556 deputati: nove del Partito comunista, nove della Democrazia cristiana, due del Partito socialista, una dell’Uomo qualunque (il 9,3% sul totale delle candidate, il 3,8% sul totale dei deputati eletti. Due anni dopo, alle elezioni del primo Parlamento, il numero di donne elette salirà a 49 pari al 5%). 

Provenienti da tutta la penisola, in maggioranza sposate (14 su 21) e con figli, giovani e dotate di titoli di studio (14 laureate), molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei, condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a 18 anni di carcere per attività antifascista, Teresa Noce, messa in carcere e poi deportata, Rita Montagnana. 

Affermava Marisa Rodano, in occasione della presentazione del libro Le donne della Costituente per la celebrazione del 60° della Costituzione:

La composizione dell’Assemblea eletta il 2 giugno del ‘46 a buon diritto può definirsi straordinaria. Ne facevano parte gli uomini di parte liberale, che avevano avuto responsabilità di governo prima del fascismo (…); dirigenti antifascisti tornati dall’esilio, dal carcere, dal confino, o anche da anni di semiclandestinità in Italia (…) Vi era poi una nutrita corte di combattenti della Resistenza (…), dirigenti sindacali tra cui i tre firmatari del Patto di Roma che aveva ricostituito la Cgil, Di Vittorio, Lizzadri e Grandi, e prestigiosi intellettuali come Croce, Marchesi, Calamandrei, Valiani (…). C’erano infine i giovani come Moro, Andreotti (…). Ne facevano parte, come potete vedere, numerosi futuri presidenti della Repubblica. Era un’assemblea dove si confrontavano tutte le posizioni politiche ideali, le esperienze, le sensibilità del Paese, dove si incontravano generazioni diverse, quella degli anziani dirigenti antifascisti e le giovani generazioni emerse dalla guerra di liberazione. Quell’assemblea riuscì a produrre un testo costituzionale estremamente innovativo che fu approvato quasi all’unanimità. Ovviamente non fu votato dai monarchici, che rifiutavano la Repubblica ma che pure parteciparono alla stesura del testo (…) La vera novità era, però, che di quell’assemblea facevano parte 21 donne. Anche in questo caso si incontravano generazioni ed esperienze diverse: donne già mature, nate nell’ultimo quindicennio dell’800 e nei primissimi anni del ‘900, che avevano combattuto contro il regime prima della marcia su Roma o che avevano dovuto abbandonare l’impegno politico dopo l’avvento del fascismo, per sostituirlo con la militanza nelle associazioni cattoliche o di beneficenza; donne provenienti dalla Resistenza come Nilde Iotti, Teresa Mattei, Laura Bianchini, Bianca Bianchi, Maria Maddalena Rossi. Alcune erano giovanissime. Teresa Mattei, Nilde Iotti e Angiola Minella avevano poco più di 25 anni; Filomena Delli Castelli e Nadia Spano – che proveniva dalla Tunisia – ne avevano 30. La novità non era soltanto che per la prima volta, in Italia, vi erano donne elette in un consesso parlamentare, ma che quelle donne hanno impresso un segno significativo nella Carta fondamentale che sta alla base dell’ordinamento della Repubblica.

Pur tenendo conto delle istanze dei rispettivi partiti, le costituenti faranno spesso fronte comune sui temi dell’emancipazione femminile, per superare i tanti ostacoli che rendevano difficile la partecipazione delle donne alla vita politica e non solo. 

Una particolare attenzione viene da loro rivolta al tema della famiglia, a partire dall’uguaglianza dei coniugi: ci saranno nel corso dei lavori non pochi scontri con buona parte dei colleghi maschi, i quali sostenevano la necessità di un sistema gerarchico all’interno della famiglia e l’ovvietà che al vertice si trovasse il marito.

Le costituenti sono unite nel voto favorevole all’articolo 11, relativo al ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e anche singolarmente si fanno promotrici d'importanti diritti civili (Nadia Gallico Spano fu la prima ad affermare la necessità di stabilire l’uguaglianza fra figli nati all’interno e al di fuori del matrimonio e di cancellare la definizione “figli di N. N.” destinata a questi ultimi).

Un tema fondamentale sarà il lavoro: tutela della maternità, parità dei salari, pari opportunità nell’accesso a tutte le professioni saranno gli argomenti maggiormente dibattuti.

L’Assemblea costituente si riunirà per la prima volta il 25 giugno 1946 e lavorerà fino al 31 gennaio 1948 (anche se le sue commissioni funzioneranno fino al mese di aprile) per un totale di 375 sedute pubbliche, delle quali 170 dedicate alla Costituzione e 210 ad altre materie.

Il 31 gennaio 1947 un Comitato di redazione composto di 18 membri presenterà all’Aula il progetto di Costituzione, diviso in parti, titoli e sezioni. Dal 4 marzo al 20 dicembre 1947 l’Aula discuterà il progetto e il 22 dicembre verrà approvato il testo definitivo. La Costituzione repubblicana sarà promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.

Padri e madri costituenti ci hanno lasciato una delle Costituzioni più belle del mondo. Una Costituzione che non va solo difesa, ma applicata - oggi come non mai - in particolare sui diritti fondamentali. A partire dalla pace, dal lavoro, dal diritto alla salute e all’istruzione. “La Costituzione - ce lo ha insegnato Sandro Pertini - è un buon documento; ma spetta ancora a noi fare in modo che certi articoli non rimangano lettera morta, inchiostro sulla carta. In questo senso la Resistenza continua”.