50 anni di cultura alternativa, socialità autogestita, aggregazione giovanile spazzati via in pochi minuti. Il blitz che questa mattina (21 agosto) ha sgomberato il centro sociale Leoncavallo a Milano, in via Watteau, mette fine a un pezzo di storia della città e dei movimenti, un simbolo di un modo di fare comunità e accoglienza dal basso.

Poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa hanno liberato gli spazi dove in passato sorgeva l'ex cartiera di proprietà della famiglia Cabassi, a cui il ministero degli Interni deve tre milioni di euro come risarcimento danni per i mancati interventi delle forze dell'ordine. Quei locali infatti sono occupati dal Leoncavallo dal 1994 e dopo 133 tentativi di sfratto andati a vuoto e un rinvio dell’intervento dell’ufficiale giudiziario al 9 settembre, è scattato lo sgombero a sorpresa. A cui attivisti e cittadini hanno risposto prontamente.

Attacco al tessuto democratico

“È un grave attacco a tutto il tessuto democratico di Milano – afferma il segretario generale della Cgil Milano Luca Stanzione – La scelta di farlo con ancora la città in ferie, come chi vuole agire con il favore del buio, testimonia la consapevolezza del governo di dividere un'intera comunità. Ancora una volta assistiamo a scelte del governo che puntano alla lacerazione sociale. Il Leoncavallo nel corso della sua vita politica, sociale e culturale ha rappresentato un luogo di ricucitura della città dimenticata mentre tutto attorno a quel luogo veniva ingurgitato dalla speculazione edilizia. Uno spazio pubblico sociale che ha salvato generazioni di giovani dall'eroina e dato la possibilità a moltissimi di accedere a cultura e socialità mentre la città diventava sempre più escludente. Un presidio di democrazia sostanziale negli anni dell'eversione e del neofascismo".

Leoncavallo sì, Casapound no

"La presidente del Consiglio ha dichiarato che ‘in uno Stato di diritto non possono esservi aree sottratte alla legalità’ –protestano il presidente nazionale dell'Anpi Gianfranco Pagliarulo, e quello di Milano Primo Minelli -. Ma dal 2003 è occupato a Roma da Casapound (un’organizzazione che si richiama al fascismo, ndr) uno stabile di proprietà del Comune, adibito a sede centrale dall'associazione neofascista, e il ministro dell’Interno Piantedosi non ha mai mosso un dito. L'episodio di Milano conferma perciò la natura autoritaria e faziosa delle scelte di questo governo”.

"Ora tutta la comunità metropolitana sia impegnata a trovare una soluzione adeguata per un soggetto sociale che rappresenta una parte della storia migliore della città – conclude la Cgil -. Per questa ragione chiediamo che questo diventi una delle priorità dell'amministrazione come negli anni passati è stata trovata soluzione per altri spazi sociali".

Il sostegno dei cittadini

Nei pressi del centro sociale si è formato un raduno spontaneo di giovani e meno giovani, mentre nel pomeriggio alle 18 sono in programma un presidio e un’assemblea pubblica. ''Il prefetto Piantedosi l'aveva promesso alla destra – scrivono gli attivisti in un post sui social -: il centro sociale più famoso d'Italia deve scomparire. I simboli fanno paura, la storia ancora di più. Ora decide Milano''.

“Lo sgombero improvviso del centro sociale Leoncavallo rappresenta un segnale estremamente preoccupante per la città – dichiarano i rappresentanti dell’Arci Walter Massa, Maso Notarianni e Massimo Cortesi, rispettivamente presidente nazionale, di Milano e della Lombardia -. Non colpisce solo una parte della cittadinanza ma l’intera comunità. Da decenni è un punto di riferimento fondamentale per la vita politica, culturale e sociale di Milano, oltre a rappresentare un presidio vivo e accogliente in quartieri storicamente complessi e marginalizzati. Per questo, e per molto altro, il Leoncavallo non può e non deve chiudere”.

Una storia lunga 50 anni

La storia del Leoncavallo inizia nel 1975, quando un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare occupa un’area dismessa in via Leoncavallo 22 di proprietà della società immobiliare del gruppo Scotti. Dibattiti, concerti, una palestra, un asilo nido, una radio, la casa delle donne, un teatro, una scuola popolare, tante le iniziative che gli attivisti mettono in campo, invitando la popolazione democratica e antifascista a partecipare.

Impegno e musica

Dopo gli anni bui delle Brigate Rosse tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, i movimenti giovanili e studenteschi diventano i protagonisti dell’occupazione e del centro sociale, insieme alla musica indipendente e alla contro-cultura. Sul palco e negli spazi del Leoncavallo si esibiscono cantanti, band, attori e personaggi dello spettacolo che in qualche caso trovano qui una rampa di lancio per la loro carriera.

Le grane dell’occupazione

Le grane di un centro sociale che occupa un immobile privato iniziano nel 1989 quando l'immobiliare Scotti cede l'area al gruppo Cabassi. Il sindaco socialista Paolo Pillitteri ordina lo sgombero il 16 agosto ma gli occupanti oppongono resistenza: si registrano violenti scontri con le forze dell'ordine. Seguono arresti e una cinquantina di persone vengono denunciate.

Nella sentenza di condanna per alcuni di loro, il tribunale riconosce l'attenuante per avere agito "per motivi di particolare valore morale e sociale". L'area viene poi rioccupata nel giro di poco tempo fino al trasferimento in via Wattau nel 1994. Cinque anni dopo la famiglia Cabassi torna a chiedere lo sgombero che arriva oggi dopo i 133 rinvii dello sfratto.

Una nuova casa

A novembre 2024 la Corte d’Appello condanna il ministero dell’Interno a risarcire 3 milioni di euro alla proprietà, i Cabassi. Il Viminale sceglie di rivalersi sull’associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo presieduta da Marina Boer, chiedendo la stessa somma. Nel frattempo si avviano interlocuzioni con il Comune di Milano per trovare una sistemazione al centro sociale: la possibile nuova casa è negli spazi di via San Dionigi.

Il Leoncavallo ha già presentato una manifestazione di interesse, ma il grande scoglio sono i lavori di bonifica dell'amianto da effettuare, con un preventivo di spesa di trecentomila euro.

Interlocuzioni che, a detta del sindaco di Milano Giuseppe Sala, proseguiranno perché il Leoncavallo "deve continuare a emettere cultura, chiaramente in un contesto di legalità" ha dichiarato in una nota. "L'intervento sul Leoncavallo era sì previsto, ma per il 9 settembre - ricorda il primo cittadino -. In considerazione di questa timeline ufficiale, come Comune avevamo continuato con i responsabili del Leoncavallo un confronto che portasse alla piena legalità tutta l'iniziativa del centro. Si stavano valutando varie soluzioni a norma di legge, che potessero andare nel senso auspicato. Sono convinto, e l'ho già dichiarato in precedenza, che il Leoncavallo rivesta un valore storico e sociale nella nostra città”.