Le armi non sono un investimento sostenibile. Né adesso né mai. Checché ne dica l’Europa che di fronte alla necessità di finanziare il riarmo e di mobilitare capitali privati, dopo il disimpegno degli Stati Uniti, sta cercando di qualificare come sostenibile il finanziamento delle aziende della difesa della Ue.

Sempre che non producano mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi chimiche o biologiche, e rispettino la legislazione sul controllo delle esportazioni. Un vero e proprio paradosso, che chi opera nella finanza Esg, ovvero environmental, social, governance (ambiente, sociale, di governo societario) non accetta.

“Da tre anni assistiamo a una corsa spaventosa al riarmo e a un cambio della narrativa – afferma Chiara Bannella, di Banca Etica, nel comitato promotore e sponsor della marcia Perugia-Assisi –: il riarmo è presentato come sostenibile perché necessario per la sicurezza. Noi siamo convinti del contrario: più armi si producono, più il mondo diventa un posto insicuro. Per questo continuiamo a proporre la scelta alternativa di non investire in armi. La marcia Perugia-Assisi è un momento importantissimo di sensibilizzazione, anche se la consapevolezza sta crescendo; nelle piazze di questi giorni abbiamo visto moltissimi ragazzi sfilare con i cartelli ‘non voglio investire in armi’”.

Uno degli aspetti centrali è infatti rappresentato dalle scelte personali: tutti noi cittadini siamo risparmiatori, abbiamo un fondo pensione, un piccolo investimento. “Il problema è che saremo incentivati a investire in armi, magari anche senza esserne consapevoli – conclude Bannella –, e quindi alla fine rischiamo di renderci complici. Consideriamo estremamente pericoloso anche spostare denaro pubblico da ciò di cui abbiamo davvero bisogno, la lotta al cambiamento climatico, la sanità, le scuole, le infrastrutture”.