“La prima cosa che mi viene da dire è che questi eventi dobbiamo imparare a chiamarli normali e non più estremi. E che dovrebbero insegnarci come il sistema del governo del territorio è completamente da ridisegnare e ripensare”. Interpellato sull’alluvione in Emilia Romagna Paolo Pileri, docente di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, autore di numerosi libri sul suolo, ripete quello che va dicendo da anni.

“I boschi - spiega - non sono fatti per essere tagliati e fare posto alla produzione di mais, la natura è un sistema complesso che ha a che fare con il cambiamento climatico. Quindi la sua gestione va affrontata in modo complesso. E invece le competenze sono sbriciolate tra i Comuni, che fanno i piani regolatori come vent’anni fa. Sembrano non consumare suolo, ma alla fine lo consumano, aggiungendo un po’ di verde qua e là”.

Lo stesso è successo nelle zone alluvionate dell’Emilia Romagna?
Sì. Nonostante le giunta abbia in tasca una legge che considera eccezionale contro il consumo di suolo, questa è la regione che ha più urbanizzato in assoluto nell’ultimo anno disponibile, il 2021, anche in aree a pericolosità idraulica. Questo ci dicono i dati dell’Ispra. In testa c’è la provincia di Ravenna, dove sono iniziati i lavori per la costruzione della quarta corsia dell’autostrada A14, destinata a cementificare 120 ettari. Poi ci sono la terza corsia Bologna-Ferrara, 93 ettari di nuovo asfalto, il passante della città di Bologna, 20 ettari. Non dico che il consumo di suolo ha generato questa situazione, ma è evidente che ha aggravato gli esiti e l’ammontare dei danni.

In che modo, professore?
Faccio un esempio. Ogni volta che cadono 100 millimetri di pioggia, se davanti hai un prato, 90 mm si infiltrano nel terreno e una decina rimangono in superficie. Ma se davanti hai un pavimento cementificato o asfaltato, a rimanere in superficie sono 60 mm. Questo vuol dire che hai perso la straordinaria capacità del suolo di immagazzinare acqua. Quando si verificano eventi disastrosi e la quantità di acqua è elevata, più aggravi la capacità di assorbimento del suolo e più aumenti l’acqua che se ne andrà in giro per le strade, le case, è un dato matematico.

Che cosa dovremmo fare secondo lei?
Oggi che siamo pieni di cemento e di aree impermeabilizzate, in presenza di cambiamenti climatici non possiamo più usare i criteri decisionali dell’altro ieri. Dobbiamo cambiare modo di pensare. Molte strade, aree residenziali e industriali non devono più essere costruite. Nella zona di Ravenna è evidente che avrebbero dovuto lavorare tutti assieme con un’unica grande visione, mentre gli enti locali sono in competizione per vincere i bandi per aggiudicarsi la logistica. Le questioni urgenti sono altre: non fare un nuovo insediamento logistico, ma saper rispondere ai cambiamenti del clima.

Insiste sul lavorare insieme. Come si potrebbe tradurre in pratica?
Innanzitutto vanno riviste le competenze dei Comuni: basta con questo ginepraio, con la moltitudine di consorzi irrigui, errore fatto inseguendo l’idea balzana per cui a livello locale ognuno è padrone a casa sua. Bisogna costruire unità decisionali coerenti con le scale di grandezza in cui la natura si presenta. Se hai un fiume non ha senso che tu abbia due, tre od otto soggetti che lo gestiscono. Un fiume, un soggetto. Altrimenti hai tanti interessi.

Questo ruolo è svolto dalle Autorità di bacino, giusto?
Le 11 autorità di bacino idrografico, istituite da una legge della fine degli anni Ottanta, avrebbero dovuto operare in modo sovraordinato rispetto ai Comuni e alle Regioni, erano disegnate in maniera che la loro impronta rispecchiasse quella del ciclo delle acque, per non disperdere risorse e personale. Ecco, questi organismi non li hanno mai fatti funzionare davvero. Dovrebbero essere governati da persone di alto profilo, con formazione scientifica, avere dei finanziamenti e poter decidere senza necessariamente negoziare con i Comuni, con le giunte, con i privati. Oggi è la natura a dettare l’agenda alla politica e non il contrario. E invece lo sa che cosa succederà?

Cosa?
Il governatore dell’Emilia Romagna sarà nominato commissario straordinario, poi si discuterà della cifra per riparare i danni, quindi l’attenzione si posterà dall’acqua a come vengono usati i soldi. E invece si deve cambiare il modo in cui si sta davanti a un prato, è una questione di cultura.  

Non crede che tragedie come questa possano scuotere le coscienze, far cambiare indirizzo alla politica?
Non credo che questa alluvione stia risvegliando le coscienze, come non l’ha fatto quella nelle Marche del settembre scorso. Anche lì ci sono stati 12 morti, tutti a piangere, presidenti della Repubblica e del Consiglio in visita sul luogo del disastro, l’Italia che si muove, la protezione civile, lacrime per i morti e commozione per gli orsacchiotti infangati trascinati dalla furia dell’acqua.

Se spostiamo l’attenzione dall’emozione al pratico, vediamo che sulla stessa spiaggia della tragedia il Comune di Senigallia ha organizzato due mesi di motocross per attrarre turisti nel periodo invernale. Se c’è una cosa iper invasiva come modello di uso del territorio è il motocross. Risultato: non hanno capito niente. Le cose noi le conosciamo non attraverso gli eventi ma apprendendole con sforzo, fatica e studio. Ma se ai vertici mettiamo persone che non sanno la differenza tra la robinia e l’ippocastano, tra un campo agricolo e uno intensivo nel trattenere l’acqua, le cose non le cambiamo.