Duecentoquattordici secondi e passa la paura. Meglio se in video. Possibilmente senza contraddittorio. Bypassando i giornalisti e parlando direttamente al cuore, alla pancia, e soprattutto al fegato degli italiani. Ingrossato a dismisura nel sentire la nostra premier, teatrante come Elisa di Rivombrosa, raccontare la favola del nuovo miracolo italiano: il decreto lavoro.

Solca solenne il parquet scricchiolante di Palazzo Chigi. Attraversa ampie stanze sfarzose dalle pareti dorate. Si lascia dietro arazzi, statue, affreschi e oggetti ampollosi. Incensa il lavoro del suo governo come se avesse appena scisso l’atomo e annuncia alla nazione “il più importante taglio di tasse degli ultimi decenni”.

Ogni passo un sorriso. Ogni movimento un ammiccamento. Ogni respiro un autocompiacimento. Una cavalcata trionfale verso la grande sala del Consiglio dei ministri, dove i suoi la aspettano trepidanti intorno al grande tavolo rotondo. Altra vagonata di sorrisi, ammiccamenti, pomposità. Si siede di spalle, attende il ciak del suo social manager, e finalmente suona la campanella: il segnale per scatenare l’inferno.

Nel frattempo i giornalisti – lavoratori a cui la premier ha dedicato il decreto - attendono fuori il palazzo, sotto una pioggia incessante. Sarebbe il Primo maggio anche per loro. Convocati per lavorare in un giorno di festa e trattati come dei figuranti a chiamata. Potete entrare, anzi no non si fa più nulla, la conferenza stampa è annullata. Andatevi a divertire al Concertone.

Ci si stupisce ma neanche poi tanto. È il metodo Meloni. È un’idea d’informazione autoritaria e di confronto a singhiozzo portati avanti fin dall’inizio del suo mandato di governo. Stesso copione usato il giorno prima con i sindacati, convocati all’ora di cena per declamargli il menu. O mangi questa minestra o salti dalla finestra.

Nell’era della disintermediazione digitale non c’è più la videocassetta con filtro calza 60 denari di berlusconiana memoria che lo staff del Cavaliere smistava a tutti i tg. Ora bastano un telefonino, un buon fondo tinta e una pennellata di rimmel ad accentuare l’espressione oculare (te sto a guarda’, sì proprio a te) e la propaganda virale è servita.

A farne le spese i cittadini e il giornalismo italiano ormai trasformato in una piattaforma di News Delivery. Tanti rider della notizia mono committente a consegnare il messaggio già impacchettato all’ignaro destinatario. L’Istituto Luce si sta rivoltando nella tomba.