Il 21 gennaio scorso Lorenzo Parelli, 19 anni di Castions di Strada, studente al Centro di formazione professionale Bearzi di Udine, è morto schiacciato da una trave d’acciaio di 150 chili nell’ultimo giorno di stage alla Burimec di Lauzacco. Lorenzo era inserito in un percorso duale ed era al suo ultimo giorno di stage. Una tragedia che lascia senza parole e sulla quale sono ovviamente in corso le indagini. 

“La sicurezza e la salute, la scuola e il lavoro — hanno scritto il padre Dino, la mamma Maria Elena e la sorella Valentina in una lettera aperta indirizzata agli organi di stampa e alla comunità e diffusa nel giorno del funerale — richiedono adeguati strumenti di accompagnamento e protezione, strumenti che forse, nella triste perdita di Lorenzo, sono mancati”. 

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In queste poche righe c’è, tragicamente, tutto: un “tutto” che riguarda anche i 3 morti di lavoro che il nostro paese conta ogni giorno. Senza fare classifiche, la vicenda di Lorenzo se possibile ci dice ancora di più: ci dice il fatto terribile che questa morte è la morte di un ragazzo e che è avvenuta all’interno del sistema dell’istruzione. 

Gli studenti hanno reagito protestando, chiedendo di essere ascoltati e manifestando in tutto il paese. Come risposta, finora hanno ricevuto solo manganellate.

Partendo da questo fatto, Collettiva ha dialogato in questo video-forum con Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil, Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil e Tommaso Biancuzzi coordinatore della Rete degli studenti medi. Ragionamenti che, partendo dalla vicenda di Lorenzo, si sono interrogati su alcune domande cruciali. Quale rapporto deve esserci tra scuola e lavoro? Che cosa vuol dire provare ad avvicinare l’istruzione – spesso in Italia ancora legata a schemi elitari gentiliani – a contesti e ambienti nei quali poi le ragazze e i ragazzi si verranno concretamente a trovare da adulti, senza però svalutare la funzione fondamentale che la Costituzione affida alla scuola? Una scuola, cioè, come luogo materiale e immateriale in cui si formano i cittadini di domani e non semplice addestramento a una professione. 

L’alternanza scuola-lavoro non è nata con la Buona scuola renziana del 2015, ma la legge 107 l’ha resa obbligatoria. Con le novità introdotte nel 2018, anno in cui l’alternanza si è trasformata nei Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto), obiettivi e durate sono cambiati per i vari indirizzi, ma resta l’obbligatorietà per l’ammissione all’esame di Stato. La ragione per cui molti percorsi – come più volte denunciato da sindacati e studenti – non sono adeguati o addirittura si configurano come una forma di lavoro non pagato nelle aziende, nasce anche da questo: la difficoltà delle scuole a programmare e a trovare sul territorio aziende capaci di fare davvero formazione.

Insomma, come ha detto Gianna Fracassi, le questioni principali sono due: “Dare risposte concrete sulla sicurezza, visto che non va dimenticato che ogni giorno muoiono in media tre persone sul lavoro” e rivedere “il sistema complessivo scuola-lavoro: una pletora di diversi istituti che però non hanno prodotto finora alcuna efficacia sul piano  occupazionale e spesso non presentano alcun valore formativo”. Per Biancuzzi, non bisogna solo cambiare il rapporto tra scuola e lavoro, ma anche quello tra la scuola e ciò che sta fuori, consapevoli che non è possibile che serva un fatto così tragico per ricordarci cose che tutti diciamo da tempo. E cioè che uscendo dalla pandemia bisognava rimettere al centro del paese la scuola, l’università e la ricerca. Cosa che però non è stata fatta”.

Per Sinopoli “l’alternanza e qualunque esperienza metta insieme scuola e formazione con il lavoro deve basarsi sull’individuazione di percorsi che abbiano effettivamente un carattere formativo. Bisogna selezionare e farlo sapendo che quando il lavoro è precario e non è valorizzato le competenze si perdono. L’alternanza va ripensata sulla base di questa idea e non può essere obbligatoria”.

Una necessità ineludibile che interroga anche il modello di sviluppo che vogliamo per il nostro paese. Oltre ai soldi del Pnrr serve una formazione di qualità che renda possibile l'innovazione, proprio quella che molti, troppi, tra i 300 mila studenti ogni anno coinvolti nei percorsi di alternanza non ricevono.

(riprese e montaggio video di Ivana Marrone e Mauro Desanctis)