Una cosa è certa. Se la frequenza con cui nelle agende politiche si colloca ai primi posti la scuola fosse direttamente proporzionale all’impegno effettivo che si pone per colmarne buchi e ritardi atavici, non ci ritroveremmo ad affrontare sempre gli stessi nodi, aggravati ovviamente dalla situazione sanitaria. Non sorprende dunque che il presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, abbia – così come trapela da quanto riportato dalla stampa – deciso di intervenire con decisione sul nostro sistema d’istruzione. In attesa di vedere il governo alla prova concreta dei fatti, è utile ragionare su alcuni dei punti – sempre da quanto riferito da fonti indirette – che il nuovo governo avrebbe l’intenzione di affrontare. 

Non si può non partire dal tema di cui più si è discusso in questi giorni e che ha, giustamente, provocato l’ira di molti insegnanti: quello del presunto “tempo perso” a scuola in questi mesi di pandemia e della necessità di recuperarlo con un ventilato prolungamento dell’anno scolastico. Bisogna distinguere: tempo certamente non se ne è perso. Insegnanti e studenti, hanno lavorato duramente, affrontando con sacrificio e anche fantasia una novità assoluta: la didattica a distanza. Senza considerare che dal nuovo anno scolastico in quasi tutte le regioni d’Italia le scuole primarie e secondarie inferiori sono state in presenza. “Tra le mille difficoltà prodotte dalla pandemia e le inefficienze che abbiamo denunciato – dice Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil –, una cosa è innegabile: la scuola ha retto e ha fatto la sua parte, nonostante scelte sbagliate a livello ministeriale e nonostante l’inefficienza delle Regioni nella gestione dei presìdi sanitari e dei trasporti”.

Altra cosa è ragionare su un tema che sicuramente esiste: quello del recupero degli apprendimenti e che riguarda i segmenti più fragili della popolazione, sia a livello sociale che territoriale. Alcuni dati li abbiamo. Il più recente viene da una ricerca Unicef-Innocenti e Università Cattolica del Sacro Cuore secondo la quale durante il lockdown il 27 per cento delle famiglie dichiara di non aver posseduto tecnologie adeguate durante il lockdown, mentre il 30 per cento dei genitori di non avere avuto tempo a sufficienza per sostenere i propri figli con la didattica a distanza”. 

Tuttavia affrontare un tema così complesso e articolato prospettando una soluzione rigida e quantitativa (più giorni di scuola) non sembra un’idea particolarmente brillante, anche tralasciando i problemi pratici che comporterebbe (calendari regionali, esami di maturità eccetera). Come spiega sempre Sinopoli, “il tema del recupero degli apprendimenti esiste e siamo pronti a discuterne, ma la soluzione non può essere il prolungamento generalizzato del calendario, che appare una soluzione semplice ad una situazione invece complessa e variegata”. Insomma: ci sono scuole che hanno la necessità del recupero e altre che non ce l'hanno. E dunque la risposta, per il sindacalista, “non può che essere la valorizzazione dell’autonomia delle singole unità scolastiche, che potranno fare le scelte più giuste ai fini del recupero di eventuali deficit formativi, commisurandole alle reali necessità dei propri istituti. I Collegi dei docenti e  i Consigli di classe sapranno rimodulare le attività di lezione e di recupero in modo mirato rispetto ai bisogni formativi  dei loro alunni”.

Ovviamente per fare questo servono risorse, servono massicci investimenti a regime sugli organici per ampliare il tempo scuola: sia stabilizzando i precari per dare continuità didattica, sia assumendo personale. Quest’anno le supplenze hanno toccato quota 200.000 e per il prossimo anno questa cifra dovrebbe ulteriormente salire. Una situazione che peggiora di anno in anno, frutto di ripetuti fallimenti che hanno finito per aggravarla costantemente.

La ministra Azzolina, ad esempio, aveva promesso l’assunzione di 84.808 docenti, ma alla fine di quei posti ne sono stati assegnati solo 19.294, neanche un quarto. Nel sostegno su 21.453 cattedre vacanti le assunzioni sono state appena 1.657. Stesso risultato per il personale Ata: sono stati coperti solo il 38 per cento dei posti disponibili. Anche i direttori amministrativi non se la passano bene: un terzo delle posizioni resta senza titolare. Il concorso straordinario riservato ai precari storici riprenderà il 15 febbraio, ma – a parte i tempi lunghi – porterà appena 32 mila nuovi docenti in ruolo, davvero troppo pochi. In aggiunta, il 13 giugno scadranno anche i contratti dell’organico aggiuntivo covid (che per i sindacati vanno rinnovati).

Draghi, sempre secondo quanto trapelato, avrebbe preso l’impegno di affrontare il nodo degli organici, a partire dall’avere tutti i docenti in cattedra dal primo giorno di scuola. Finora nessuno ci è riuscito: se questo accadrà sarà un risultato davvero importante. Intanto, per chiedere risposte su molti di questi temi, la Flc Cgil ha organizzato per martedì 16 febbraio alle 16.00 un presidio davanti al ministero della Pubblica istruzione. Tra le richieste la stabilizzazione per i precari, il pagamento per il lavoro svolto e non retribuito, il prolungamento dei contratti covid.