Cultura e turismo è un binomio da valorizzare, ma le parole non bastano.  La crisi ha messo in ginocchio entrambi i settori, accomunati da un’atavica carenza di investimenti e da diffuse condizioni di lavoro precario, senza diritti né tutele. E per ripartire, secondo la Cgil, serve un ripensamento strutturale. Positivi gli otto miliardi di investimenti previsti dal precedente governo, ma per il sindacato sono una prima inversione di tendenza rispetto al passato. “Il punto - commenta Maurizio Calà, Cgil Nazionale- non è solo quante risorse arriveranno, ma come verranno spese. Qual è l’idea complessiva?”

La Cgil un’idea chiara ce l’ha: investire nella cultura vuol dire farlo sui suoi lavoratori. Su quelli dei beni culturali, con un piano triennale di assunzioni, che compensi le carenze organiche del Mibact in maniera stabile. Sugli artisti e le maestranze dello spettacolo, che di questa crisi hanno pagato il prezzo più alto.  

Da diversi mesi la Cgil ha aperto un tavolo di confronto con le associazioni culturali, per ragionare di continuità salariale e di una riforma complessiva del settore. Tra le proposte, c’è quella di ridiscutere il sistema del Fus. Il fondo unico per lo spettacolo non solo va incrementato, ma va allargata la platea di chi ne usufruisce. Il meccanismo attuale, che premia solo “i soliti noti”, è ritenuto insufficiente. “Manca il sostegno alle realtà più piccole – spiega Calà- meno note ma altrettanto valide, che costituiscono l’humus su cui cresce la cultura del nostro paese. Il Ministero continua ad avere un approccio emergenziale e di salvaguardia esclusiva dei soggetti più importanti”. 

Un’altra delle proposte lanciate dalla Confederazione è il potenziamento della Rai, in alternativa alla ormai famosa “Netflix della cultura”. Il servizio pubblico può e deve aprire i propri spazi ai più giovani e alle realtà indipendenti, piuttosto che costruire da zero un sistema a pagamento che guarda principalmente alle grandi produzioni. “Nel piano di investimenti non vi sono misure specifiche a sostegno dello spettacolo dal vivo, se non un progetto assai generico su Cinecittà”. Il teatro, la musica, la danza non possono vivere solo sulle piattaforme digitali.

Anche per quanto riguarda il turismo, la strada indicata dalla Cgil è quella che punta sulla filiera e sulla valorizzazione del patrimonio diffuso. Occorre prospettare un diverso rapporto tra città e piccoli centri, tra musei e risorse paesaggistiche, cultura e tradizioni, prodotti tipici locali. “Manca una visione d’insieme – osserva Calà- e questo genera grandi contraddizioni: da un lato luoghi consumati dal turismo mercificato, dall’altro posti lasciati fuori da qualsiasi circuito”. Per questa ragione, progetti come il “Piano nazionali Borghi” possono esprimere le loro potenzialità solo all’interno di un disegno generale, che tuttavia non emerge chiaramente dal Piano.

Bene, dunque, l’idea di una riforma complessiva del settore. Ma serve uno sforzo in più. “Bisognerà sostenere le imprese martoriate dalla pandemia; favorire la digitalizzazione del lavoro, salvaguardando al tempo stesso l’occupazione; contrastare il lavoro sommerso estremamente diffuso; provare a uscire dalla logica della stagionalità”. E poi, le infrastrutture. Non esiste turismo senza posti facili da raggiungere. “Dall’emergenza si esce solo con una strategia organica – conclude Calà - superando la logica della frammentazione per costruire un sistema della creatività”.