Mai come in questo periodo c’è stato apprezzamento per la nostra sanità pubblica: applausi dai balconi, elogi e commozione per il sacrificio delle operatrici e degli operatori del Ssn, impegnati ad affrontare una battaglia drammatica contro l’emergenza coronavirus. E che ogni giorno, in condizioni difficili, lavorano per affermare il diritto alla salute e alle cure dei cittadini. Lo abbiamo già scritto: sono loro che fanno migliore il nostro Paese, e ci rendono orgogliosi del nostro Servizio sanitario nazionale pubblico e universale. Altrove non è così. In altri Paesi, dove la sanità non è un bene pubblico, curarsi è un privilegio e non un diritto. Dobbiamo essere orgogliosi di tutto questo e batterci per tutelare questo bene prezioso.

Ma accanto all’orgoglio per la nostra sanità pubblica, all’ammirazione per i nostri operatori, cresce la rabbia per come il Servizio sanitario nazionale abbia dovuto affrontare l’emergenza in condizioni a dir poco precarie: ferito da anni di tagli al finanziamento, con una spesa sanitaria cronicamente al di sotto di quella di altri Paesi europei e Ocse (vedi grafici Oecd), e in proiezione con un crollo drammatico del rapporto spesa sanitaria Pil.

Un Ssn impoverito per la carenza di personale e dalla mancanza di ricambio professionale, dovuti a uno sconsiderato divieto di assumere, frenato dal blocco della contrattazione che ha mortificato le legittime aspettative di migliaia di professionisti, costretti a lavori precari e sottopagati perfino nei servizi di emergenza e di pronto soccorso. E infatti le prime cure approntate al Ssn con la legge di bilancio 2020, pur apprezzabili, sono state immediatamente travolte dall’emergenza Covid, che ha reclamato ben altri investimenti per la sanità pubblica. Ci servirà di lezione?

È chiaro a tutti che le politiche di austerità di questi anni, che hanno penalizzato la sanità pubblica, hanno colpito proprio le persone più vulnerabili? Si sono indeboliti, o non sono addirittura mai stati aperti, i servizi socio-sanitari nel territorio, per gli anziani non autosufficienti, la salute mentale, i consultori familiari: servizi essenziali per affrontare, secondo la definizione Oms, “l’altra epidemia” quella delle malattie croniche; e per riconoscere la coincidenza tra bisogni sociali e sanitari. E chiaro a tutti che in questi anni migliaia di cittadini hanno dovuto rinunciare alle cure per il peso dei ticket e che alla fine è stata alimentata la sanità privata a pagamento?

Ora dovrebbe essere più chiaro. Ma, soprattutto, questa trascuratezza verso la sanità pubblica ha rallentato i processi di rinnovamento e di riorganizzazione, impedendo di costruire, accanto ad una qualificata rete ospedaliera, una forte rete di servizi diffusi nel territorio per le cure primarie e per la prevenzione. Questa debolezza della rete dei servizi socio sanitario nel territorio, e delle cure primarie, la stiamo pagando anche oggi durante l’emergenza. Come abbiamo già scritto “la drammatica esperienza in corso ci sta insegnando, che non è più rinviabile un piano per il potenziamento delle reti di assistenza socio-sanitaria territoriale, con requisiti e standard vincolanti come quelli per gli ospedali, investimenti e assunzioni di personale (non essendo assolutamente sufficienti le misure di questi giorni), e con medici di medicina generale più inseriti nel Ssn (vedi: “I danni non proprio collaterali del Covid”)”. Certo ora occorre agire nell’emergenza e per l’emergenza, ma già guardando avanti, preparando il futuro, imparando dagli errori. Per questo ci auguriamo che quest’anno il 7 aprile, giornata mondiale per la Salute, promossa dall’Oms, sia celebrata fuori da ogni retorica, con impegni concreti per restituire forza al nostro Ssn: così la rabbia cede il passo all’orgoglio.

Stefano Cecconi, responsabile sanità Cgil nazionale, direttore de La Rivista delle Politiche Sociali

Rossana Dettori, segretaria confederale Cgil nazionale