L'industria italiana è al palo, tra un presente di crisi e un futuro incerto. Così come confermano gli ultimi dati Istat, che parlano di rallentamento della domanda interna ed esterna, aumento continuo della cassa integrazione, a cui però corrisponde una diminuzione complessiva delle ore lavorate. Frutto, questo, della crescita abnorme del lavoro autonomo, con rapporti di lavoro che non possono essere definiti tali, essendo concentrati su qualche ora al giorno o qualche ora alla settimana. 

"Quello nostro, è un sistema industriale in trasformazione – dice Emilio Miceli, segretario confederale Cgil, intervistato da RadioArticolo1 –, dove è in difficoltà anche una regione d'eccellenza e all'avanguardia come la Lombardia, da sempre la locomotiva d'Italia, riflesso diretto della flessione della Germania, con la crisi dell'auto. E la nostra classe imprenditoriale ha grosse responsabilità, in quanto soggetto debole: si guardi allo shopping che è stato fatto delle imprese italiane. Non c'è mai un nostro manager che diversifica, innova, fa investimenti nuovi. E ciò si ripercuote sui mercati internazionali, dove nessuna azienda italiana, anche di buon livello, è in grado di penetrare e farsi valere sul panorama mondiale. Al momento, l'Italia non è nelle condizioni di poter offrire una squadra di imprenditori in grado di fare operazioni importanti. Alludo ai casi Telecom e Alitalia, dove il ministro Di Maio è finito con il cappello in mano per trovare partner sul mercato. Restiamo il Paese della piccola e media impresa, che però è impotente a livello internazionale, di fronte ai fondi sovrani che godono di finanziamenti statali".

 

"Altro dato negativo, proviene dall'Abi. È tornato a crescere il tasso delle aziende in sofferenza bancaria, che non hanno accesso al credito. Per l'associazione delle banche italiane, si contano 23 grandi imprese in amministrazione straordinaria; fra queste, ci sono in prima fila le società di costruzioni, che detengono oltre il 50% delle commesse pubbliche, ma che non possono accedere ai finanziamenti bancari. Questo è lo specchio del Paese, ed è lo specchio della sofferenza della piccola impresa, così come della crisi del sistema bancario", ha rilevato ancora l'esponente Cgil. 

"Ci sono tante, troppe crisi industriali aperte al Mise, ma il fattore più negativo non sta tanto nei numeri raggiunti (170 aziende ai tavoli di crisi), quanto nel fatto che non se ne è risolta neanche una! Molte sono crisi ferme, nel senso che vi sono imprenditori che decidono di chiudere la propria azienda e lasciare l'Italia, magari delocalizzando all'estero. Le crisi aperte sono drammatiche, perché cambiano i mercati, si modificano i processi d'innovazione, e in tutti i settori produttivi ci si concentra in pochi grandi gruppi. Noi siamo in una condizione d'insofferenza, ma per fortuna, nel corso degli ultimi anni, sono arrivate in italia molte multinazionali, che hanno arricchito il nostro panorama industriale. A settembre, alle 'Giornate del lavoro' di Lecce, analizzeremo la situazione per avere una visione completa dell'industria, già sapendo che larga parte di queste crisi stanno nel Mezzogiorno, concentrate in Campania e Puglia, come Arcelor, Whirlpool, Jabil e tante altre. Ci aspetta un autunno di crisi, ma anche di nuove mobilitazioni unitarie di Cgil, Cisl e Uil, per riportare al centro il lavoro", ha concluso il dirigente sindacale.