Domenica 25 ottobre la democrazia cilena è uscita dall’ultima prigione di Pinochet ed è tornata a respirare. A stragrande maggioranza, i cileni hanno votato a favore di una nuova Costituzione. Nel referendum il 78,27%, quasi sei milioni di voti, ha indicato la convocazione di una Convenzione costituente composta al 100% da rappresentanti eletti. La seconda alternativa, un'Assemblea composta per metà da parlamentari in carica e per metà da membri eletti, non ha superato il 21% dei voti. L’affluenza è stata del 51%. 

Adesso si apre il processo costituente. La seconda tappa sarà l'elezione popolare dei 155 membri che avranno il mandato di redigere la “Nuova Costituzione politica”. Le elezioni si terranno l'11 aprile 2021, insieme alle elezioni dei sindaci, dei consiglieri e dei governatori regionali.

È l’esito di un processo e di uno scontro sociale e politico iniziato un anno fa, con le proteste, le manifestazioni, gli scioperi generali che paralizzarono il Cile.  Sebastián Piñera, oggi nuovamente sconfitto, rispose con la violenza e con metodi polizieschi che resuscitavano gli anni bui della dittatura. Tutto era iniziato con la protesta contro il caro dei biglietti nella metro di Santiago. Poi entrarono in campo molti altri temi, sostanzialmente la profonda ingiustizia e disuguaglianza sociale che il paese scontava come eredità, anche questa, dell’era di Pinochet. Tutela delle minoranze etniche, diritti del lavoro, salari, pensioni, sanità: qui il Cile non si era ancora liberato dal pluridecennale esperimento neoliberista e armato della dittatura. Forse ora riuscirà a liberarsene. Ma non sarà semplice. La Costituzione, infatti, devono scriverla tutti.

Una delle forze protagoniste della vittoria al referendum è senz’altro la Cut, la centrale sindacale guidata da Barbara Figueroa, che ha sostenuto la scelta di una Costituente composta interamente da rappresentanti delle forze sociali, con parità di genere e inclusione dei popoli indigeni. 

Oggi la Cut esulta ma mette in guardia dai pericoli della difficile fase che si apre: “La scommessa del mondo sindacale - leggiamo in una dichiarazione - è di avanzare verso una Costituzione che metta al centro i lavoratori, che metta al centro il valore del lavoro come elemento essenziale, quindi che ripristini i diritti del lavoro tolti dopo il colpo di Stato del 1973. Raggiungere questo obiettivo significa indubbiamente andare a combattere per i profondi cambiamenti necessari; una lotta che deve essere rafforzata dalla mobilitazione”.

“Come lavoratori - prosegue la Cut -, sappiamo che, di fronte a uno scenario pieno di incertezze, non saranno le classiche ricette a permetterci di garantire il lavoro. La chiusura delle imprese e un'economia che non sta decollando non sono solo il risultato della pandemia o degli ‘scontri sociali’, come le autorità ci hanno voluto far credere”. Il Cile “vanta” da anni una crescita economica sostenuta dalla “precarietà dei posti di lavoro, dai bassi salari, dalla scarsa stabilità e dall'assenza di politiche di riqualificazione dei lavoratori”. 

Per cambiare tutto ciò, spiega la Cut, non basterà qualche aggiustamento. Ma l’appuntamento costituzionale può essere una chiave di volta. Si aprono infatti le porte al dibattito “sul Cile equo, inclusivo e dignitoso che vogliamo costruire. È proprio la voce degli sfruttati, degli abusati, degli esclusi, che si è fatta sentire oggi. Ci viene chiesto, più volte, di essere generosi e pazienti di fronte a cambiamenti che non arrivano mai e che non hanno fatto altro che aggravare le disuguaglianze di reddito e di trattamento. Sappiamo che il processo Costituente sarà una battaglia - conclude la Cut -, perché coloro che hanno goduto storicamente di privilegi non vorranno rinunciarvi facilmente, ma con un popolo attivo e vigile, mobilitato e partecipe, non lasceremo che una minoranza decida il nostro destino”.

In Cile la sanità, le pensioni, l’istruzione sono gestiti privatamente da imprese for profit. L’orario di lavoro settimanale supera le 45 ore, i salari sono sotto il livello della povertà, la discriminazione di genere, etnica e le pratiche anti-sindacali sono all’ordine del giorno. Negli ultimi anni il paese è entrato nel “club” Ocse dei più sviluppati del mondo, ma senza redistribuire affatto la sua ricchezza. L’uno per cento della popolazione cilena detiene il 26,5 per cento delle risorse nazionali.

Il voto del 25 ottobre è stata una risposta a questo stato di cose. Lavoratori, studenti, il popolo povero delle baraccopoli, le comunità indigene: è questo il popolo che chiede ora una nuova Costituzione, e di avere voce nella Costituzione. Uscire dal dominio di Pinochet e dei suoi epigoni "democratici" è una battaglia di lunga durata che accomuna generazioni di cileni, che affratella i vivi ai morti.  Ma oggi la loro speranza di vincere è più forte.