Non era difficile, bastava prendere la sentenza di sei anni fa della Consulta che chiedeva al Parlamento di legiferare sul diritto di ogni cittadina e cittadino di scegliere di dire basta. Basta a una vita a cui malattie gravissime costringono che in realtà vita non è, e quindi poter essere aiutato a porre fine a quella esistenza dolorosissima e poco dignitosa.

Sei anni trascorsi nel silenzio e nell’inattività in merito di Camera e Senato finché la Regione Toscana non ha legiferato. Il Governo ha impugnato la norma e predisposto un testo. Purtroppo in alcuni passaggi incongruenti rispetto a quella sentenza. Tanto da mettere nero su bianco che qualunque pratica legata al fine vita dovrà essere attuata fuori dal perimetro del Servizio Sanitario Nazionale.

Non solo, tanto per cambiare si trova ogni occasione per intaccare la libertà femminile e limitare l’autodeterminazione delle donne rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza. questo almeno era nel testo originario, sembra che quello uscito dalle commissioni almeno questo obbrobrio l’abbia corretto ma conviene aspettare e vedere cosa voterà l’aula.

"Preoccupa e desta allarme il testo base depositato dalla maggioranza sul fine vita, poiché non si limita a disattendere le indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019, ma crea un percorso a ostacoli volto con tutta evidenza a precludere l’esercizio del diritto". È quanto dichiarano le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Lara Ghiglione.

"La creazione di una commissione etica nazionale di nomina politica chiamata a decidere sul caso specifico, col paradosso che si avrebbero criteri decisionali diversi in base ai partiti al governo, l’obbligatorietà dell’inserimento in un percorso di cure palliative e l’impossibilità di ripresentare richiesta nei quattro anni successivi in caso di rigetto, sottopone la persona malata a inutili sofferenze aggiuntive", sostengono le dirigenti sindacali. "Inoltre – sottolineano – viene ignorata la possibilità che, in un tempo tanto lungo se rapportato a malattie degenerative, possa esserci un peggioramento delle condizioni oggettive".

Per Barbaresi e Ghiglione poi "il riferimento nel primo articolo della bozza alla 'tutela della vita a partire dal concepimento e fino alla morte naturale' prelude a una compressione del diritto all’autodeterminazione delle persone tanto nella fase finale della vita che in relazione al diritto all’aborto, e appare in tutta la sua gravità il prezzo pagato dalla maggioranza alle associazioni integraliste no choice. Vorremmo rammentare al governo e alla maggioranza che l’Italia non è uno Stato confessionale, e che sul diritto all’aborto i cittadini si sono espressi chiaramente".

"La Cgil rifiuta con decisione un’impostazione che, chiamata a dare attuazione alla sentenza della Consulta, appesantisce il percorso con inutili procedure e nega una volta di più la dignità della persona nella fase finale della vita", concludono le segretarie confederali.