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Oxfam lancia un appello all’Unione europea per mantenere fede a “l'impegno assunto dalla comunità internazionale e dall'Unione europea, per alleviare le sofferenze del popolo palestinese che non si è tradotto ancora in alcuna azione concreta: l'Ue agisca per una pace giusta in Palestina”.
L’associazione no profit che si batte contro le disuguaglianze riconosce che il seppur fragile cessato il fuoco raggiunto da pochi giorni a Gaza è “un importante primo passo che ha interrotto il genocidio nella Striscia”, ma lancia l’allarme sugli “aiuti umanitari, da cui dipende la sopravvivenza della popolazione, che continuano ad entrare in quantità meramente simboliche. Inoltre non si chiarisce quale sarà il ruolo del popolo palestinese nel determinare il proprio futuro, né si sta esercitando alcuna effettiva pressione su Israele per porre fine all'occupazione illegale della Cisgiordania”.
Come Oxfam sottolinea in un comunicato, siamo alla vigilia del Consiglio dei ministri degli Esteri europei del 20 ottobre, in cui si discuterà delle eventuali sanzioni economiche a Israele, a partire dalla revisione dall'Accordo di Associazione Ue-Israele: "L'Unione europea è oggi a un bivio - spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia -. Deve decidere se vuol determinare la costruzione di una pace giusta in Palestina o se rinunciare completamente a esercitare la propria influenza e perdere qualsiasi credibilità".
Aiuti bloccati, fame ed epidemie alla porta
L’ong fa sapere che ha ancora oltre 2,5 milioni di dollari di aiuti di prima necessità e pacchi alimentari stoccati nei magazzini fuori Gaza, che non possono entrare. Molte altre organizzazioni sono in condizioni simili. “Oxfam e i suoi partner – si legge – hanno le competenze necessarie per ripristinare le infrastrutture idriche e igienico-sanitarie, garantire alle persone l'accesso all'acqua potabile, sostenere economicamente la popolazione, distribuire cibo e aiutare le persone a ricostruire le comunità distrutte. Un lavoro che viene svolto quotidianamente dentro Gaza, ma che continua a essere ostacolato e limitato, denuncia l'organizzazione”.
Sul fronte medico il quotidiano Guardian ha reso noto che l'Organizzazione mondiale della sanità denuncia che le malattie infettive a Gaza stanno "sfuggendo al controllo", con solo 13 dei 36 ospedali del territorio parzialmente funzionanti. Si parla di meningite, diarrea e malattie respiratorie.
Dal canto loro le Nazioni unite confermano che la carestia nella Striscia non sarà di rapida risoluzione e chiedono sia aperti tutti i valichi di frontiera verso il territorio palestinese. Al momento il World food program ha solamente cinque punti di distribuzione attivi e funzionanti, a fronte dei 145 ritenuti necessari.
Israele mette i bastoni tra le ruote
La restituzione di tutti i corpi degli israeliani morti nelle mani di Hamas dopo il sequestro del 7 ottobre è per Israele la conditio sine qua non per procedere con la prima fase dell’attuazione del piano siglato, ma ritrovarli tra le macerie non è cosa di poche ore o pochi giorni.
Per questo motivo 81 esperti della protezione civile turca (Afad) sono partiti da Ankara con il compito di facilitare l'individuazione dei corpi dei 19 ostaggi ancora a Gaza. Israele ha bloccato però l’ingresso della squadra turca nella Striscia. Le fonti sono ufficiali e israeliane, citate dal quotidiano Jerusalem Post.
Il team turco composto da personale esperto in interventi post terremoto si trova ora in Egitto per poi unirsi alla task force per il recupero dei corpi degli ostaggi israeliani alla quale partecipano Stati Uniti, Israele, Egitto, Qatar e la Croce Rossa internazionale. Ancora però non è stato dato il via libera da Tel Aviv per l’ingresso a Gaza.
Dal canto suo Hamas ha chiesto ai Paesi mediatori di dare seguito all'attuazione delle restanti disposizioni dell'accordo di cessate il fuoco con Israele, secondo quanto riferito dall’emittente Al Jazeera: l'ingresso di aiuti a Gaza, l'apertura del valico di Rafah in entrambe le direzioni e l'inizio della ricostruzione dell'enclave.