Gli aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese di Gaza hanno subito una drastica riduzione, con momenti di totale black out, dal giorno dell’inizio degli attacchi israeliani, il giorno dopo la strage compiuta da Hamas. Sono numerose le associazioni internazionali e anche italiane che si prodigano per evitare che i gazawi muoiano di fame, di sete, di malattie che con i giusti mezzi potrebbero essere curate. L’operatrice umanitaria del Ciss (Cooperazione internazionale Sud Sud) di Palermo, Valentina Venditti, ci descrive le azioni umanitarie che ha contribuito a realizzare dentro Gaza con i fondi della Cgil, le difficoltà incontrate e la situazione di un popolo allo stremo. 

“Le iniziative che abbiamo portato avanti in questi due anni sono numerose e vanno dal supporto psicosociale, psicologico, legale, come anche di fronte alle decisioni della giustizia internazionale e alla distribuzione di aiuti umanitari, cibo, medicinali e prodotti igienico-sanitari – dice Venditti -. Grazie al supporto della della Cgil siamo riusciti a far arrivare gli aiuti quando erano ancora aperto il valico di Rafa. Dopo la chiusura abbiamo effettuati gli acquisti all'interno della striscia di Gaza supportando direttamente gruppi di agricoltori e contadine che riuscivano a produrre frutta e verdura. Quindi abbiamo distribuito pacchi alimentari nella zona del governatorato di Gaza e nella zona sud.

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"In questo momento – prosegue – stiamo allestendo nuovamente pacchi alimentari e distribuiamo pasti caldi, riso e zuppe di lenticchie, grazie al supporto della cooperativa Sannad. Ogni pacco alimentare è sufficiente per una famiglia di cinque persone per una settimana. Quindi i numeri che stiamo riuscendo a raggiungere, sebbene in proporzione molto piccoli, sono davvero importanti ed è un'azione fondamentale anche perché la facciamo assieme a partner locali, al sindaco, agli ospedali”. 

I gazawi si sentono invisibili 

Un tema del quale si parla raramente riguarda i sentimenti che possono provare donne, uomini, bambini che vivono tra le morti, la fame e la privazione di ogni diritto, compreso quello al futuro. Rabbia, disperazione, bisogno di pace, desiderio di fuga è quanto noi possiamo immaginare e Valentina Venditti, che ha vissuto per molto tempo a Gaza e continua ad avere contatti con amici e conoscenti nella Striscia, ci dice che i palestinesi “non riescono a capire perché i diritti umani non valgono per loro” come per tutti gli altri: “Non riescono a capire come sia possibile, dopo due anni, non riuscire a fermare un genocidio, sono increduli”.

“Tutti loro dicono chiaramente che sono stanchi delle bombe, i genitori vogliono proteggere i figli, quindi il loro punto è cercare di trovare da mangiare per i propri bambini, e comunque tutti dicono che bisogna avere avere come obiettivo la liberazione della Palestina e la fine dell’occupazione”. 

Una pericolosa corsa a ostacoli

Le difficoltà a operare a Gaza sono innumerevoli anche perché, come ci dice Venditti, le regole cambiano molto rapidamente e “ogni giorno ci sono nuovi ordini di evacuazione di zone particolari, quindi bisogna cambiare i piani per la distribuzione perché magari l’area interessata è diventata insicura e soggetta a bombardamenti. Inoltre è difficile recuperare carburante per i mezzi che trasportano i prodotti alimentari. Ci sono anche pochissimi magazzini di stoccaggio, quindi bisogna fare gli acquisti scaglionati perché non ci sono luoghi dove metterli al riparo”.

“È complicato perché i bisogni sono talmente tanti ed estremi e i beni sono talmente pochi che ogni volta che c'è una una distribuzione si creano situazioni di caos, anche se noi cerchiamo di gestire il tutto attraverso il nostro meraviglioso staff locale palestinese e le organizzazioni palestinesi che coordinano con noi l'intero processo”.

“Il primo carico della Cgil abbiamo deciso di darlo agli ospedali e ai sindacati in modo che loro potessero distribuirlo, si trattava soprattutto di cibo proteico, cibo per i bambini. In altri casi abbiamo deciso di identificare campi dove c'erano, per esempio, le persone affette da cancro e da malattie croniche. Tutto è poi ulteriormente complicato dal non avere garantita la sicurezza degli operatori”.

Mancanza di volontà e razzismo 

Da più parti si grida allo scandalo dell’assenza di corridoi umanitari che potessero dall’inizio dei raid israeliani e possano anche ora trasportare i palestinesi fuori dalla Striscia, come accaduto per altre zone di guerra. Per l’operatrice del Ciss questo accade perché “nei confronti della Palestina c'è un problema di mancata volontà politica che si è palesata già dall’inizio”.  

"Prima del 7 ottobre tutti avevano dimenticato la Palestina come se l’occupazione non esistesse, e con essa le aspirazioni dei palestinesi. Oggi è ancora peggio – conclude –. I visti non vengono rilasciati, non c'è una risposta da parte delle autorità nemmeno quando si vuole tentare di far uscire persone che, ad esempio, hanno malattie croniche, oppure bambini che sono rimasti orfani: è una volontà politica che deriva anche dal razzismo, questo è”.