Il 18 ottobre del 1967, a nove giorni dall’uccisione in Bolivia di Ernesto Che Guevara e al termine dei tre giorni di lutto nazionale, Fidel Castro parlava davanti a un milione di persone a Plaza de la Revolution all’Avana.

Il Che  era una di quelle persone a cui tutti si affezionavano istantaneamente, per la sua semplicità, per il suo carattere, per il suo modo di essere naturale, per la sua fratellanza, per la sua personalità, per la sua originalità (…) L’artista può morire, soprattutto quando è un artista di arte così pericolosa come può essere la lotta rivoluzionaria, ma ciò che non morirà mai è l’arte a cui ha dedicato la sua vita e alla quale ha dedicato la sua intelligenza (…) L’idea che gli uomini abbiano un valore relativo nella storia, l’idea che le cause non si considerino sconfitte quando gli uomini cadono nonché l’idea che l'irrefrenabile marcia della storia non si ferma né si fermerà quando cadranno i leader, può aver influenzato profondamente il suo comportamento. E questo è vero, questo non può essere messo in dubbio. Ciò dimostra la sua fede negli uomini, la sua fede nelle idee, la sua fede nell’esempio. Tuttavia, come ho detto pochi giorni fa, avremmo desiderato con tutto il cuore vederlo come il forgiatore delle vittorie, forgiando sotto la sua guida, forgiando sotto la sua direzione le vittorie, perché gli uomini della sua esperienza, del suo calibro, della sua capacità davvero singolare, sono uomini poco comuni. Siamo in grado di apprezzare a pieno il valore del suo esempio e abbiamo la convinzione assoluta che questo esempio servirà come emulazione e servirà per far sorgere all’interno degli altri popoli uomini simili a lui. Non è facile incontrare in una sola persona tutte le virtù racchiuse in lui. Non è facile per una persona essere spontaneamente in grado di sviluppare una personalità come la sua. Direi che è uno di quei tipi di uomini difficili da uguagliare e praticamente impossibili da superare. Ma diremo anche che uomini come lui sono capaci, con il loro esempio, di aiutare a far emergere uomini come lui. (…) E cadde. I nemici credono di aver sconfitto le sue idee, di aver sconfitto la sua concezione della guerriglia, di aver sconfitto il suo punto di vista sulla lotta rivoluzionaria armata. E ciò che ottennero fu, con un colpo di fortuna, il fine della sua vita fisica; sono riusciti a ottenere solo i vantaggi accidentali che un nemico può ottenere in guerra. (…) La morte del Che (…) è un duro colpo, è un colpo tremendo al movimento rivoluzionario, poiché lo priva, senza alcun dubbio, del suo leader più esperto e capace. Ma quelli che cantano vittoria sbagliano. Sbagliano coloro che credono che la morte sia la sconfitta delle sue idee, la sconfitta delle sue tattiche, la sconfitta dei suoi concetti di guerriglia, la sconfitta della sua tesi. Perché quell’uomo che cadde come un uomo mortale, come un uomo che si è esposto tante volte ai proiettili, come militare, come leader, è mille volte più capace rispetto a quelli che con un colpo di fortuna l’hanno ucciso. (…) Lavoratore instancabile, durante gli anni in cui era al servizio del nostro paese non si è concesso un solo giorno di riposo. Molte responsabilità gli furono conferite: presidente della Banca nazionale, direttore del Consiglio di pianificazione, ministro delle industrie, comandante delle regioni militari, capo delle delegazioni politiche, economiche o di tipo fraternale.

Fidel Castro proseguiva nel ricordo del compagno Che Guevara additandolo ad esempio per le generazioni future:

La sua intelligenza variegata era in grado di intraprendere con la massima sicurezza qualunque compito in qualsiasi ordine, in qualsiasi senso. E così ha rappresentato brillantemente il nostro paese in numerose conferenze internazionali, nello stesso modo in cui ha guidato brillantemente i soldati in battaglia, nello stesso modo in cui è stato un lavoratore modello mentre era a capo delle diverse istituzioni che le sono state assegnate. E per lui non c’erano giorni di riposo, per lui non c’erano ore di riposo! e se guardavamo le finestre dei suoi uffici, vedevamo che le luci rimanevano accese fino a tarda notte, studiando, o meglio, lavorando o studiando. Poiché era uno studioso di tutti i problemi, era un lettore instancabile. La sua sete di abbracciare la conoscenza umana era praticamente insaziabile, e le ore che prendeva dal sonno le dedicava allo studio; e i giorni regolari di riposo li dedicava al volontariato. È stato l’ispirazione e il principale promotore di quel lavoro che è diventato oggi l’attività di centinaia di migliaia di persone in tutto il paese, il promotore di quella attività che sta prendendo sempre più forza tra le masse del nostro popolo. E quale rivoluzionario, rivoluzionario comunista, veramente comunista, aveva una fede infinita nei valori morali, aveva una fiducia infinita nella coscienza degli uomini. E dobbiamo dire che nella sua concezione ha visto con assoluta chiarezza nelle molle morali la leva fondamentale per la costruzione del comunismo nella società umana. (…) Se volessimo esprimere come aspiriamo che siano i nostri combattenti rivoluzionari, i nostri militanti, i nostri uomini, dobbiamo dire senza esitazione: Che siano come il Che! Se volessimo esprimere come vogliamo che siano gli uomini delle generazioni future, dobbiamo dire: che siano come il Che! Se volessimo dire come dovrebbero essere educati i nostri figli, dobbiamo dire senza esitazione: vogliamo che si educhino nello spirito del Che! Se volessimo un modello maschile, un modello di uomo che non appartiene a questo tempo, un modello di uomo che appartiene al futuro, con il cuore in mano dico che questo modello senza una sola macchia nel suo comportamento, senza una sola macchia nel suo atteggiamento, senza una singola macchia nel suo modo di agire, quel modello è Che! Se volessimo esprimere come vorremmo che siano i nostri figli, dobbiamo dire con tutto il cuore di veemente rivoluzionario: Noi vogliamo che loro siano come il Che!

Nell’estate del 1967 Italo Calvino si trasferisce a Parigi. Qui apprende della morte dell’amico Che Guevara. Nemmeno una settimana più tardi, il 15 ottobre, giorno del suo 44º compleanno, scrive un articolo a lui dedicato pubblicato in spagnolo nel gennaio 1968 sulla rivista cubana Casa de las Americas. Il testo originale integrale in italiano sarà pubblicato solamente trent’anni dopo, nel 1998, sul primo numero della rivista Che della Fondazione italiana Ernesto Che Guevara presieduta dall’editore romano Roberto Massari.

Qualsiasi cosa cerchi di scrivere per esprimere la mia ammirazione per Ernesto Che Guevara, per come visse e per come morì, mi pare fuori tono - scriveva Calvino - Sento la sua risata che mi risponde, piena d’ironia e di commiserazione. Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e finta prosperità dell’Europa, dedico un breve intervallo del mio lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d’un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d’una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sé e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancor maggiori. Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l’avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze. In questo senso egli resterà al centro delle nostre discussioni e dei nostri pensieri, così ieri da vivo come oggi da morto. È una presenza che non chiede a noi né consensi superficiali né atti di omaggio formali; essi equivarrebbero a misconoscere, a minimizzare l’estremo rigore della sua lezione. La “linea del Che” esige molto dagli uomini; esige molto sia come metodo di lotta sia come prospettiva della società che deve nascere dalla lotta. Di fronte a tanta coerenza e coraggio nel portare alle ultime conseguenze un pensiero e una vita, mostriamoci innanzitutto modesti e sinceri, coscienti di quello che la “linea del Che” vuol dire - una trasformazione radicale non solo della società ma della “natura umana”, a cominciare da noi stessi - e coscienti di che cosa ci separa dal metterla in pratica. La discussione di Guevara con tutti quelli che lo avvicinarono, la lunga discussione che per la sua non lunga vita (discussione-azione, discussione senz’abbandonare mai il fucile), non sarà interrotta dalla morte, continuerà ad allargarsi. Anche per un interlocutore occasionale e sconosciuto (come potevo esser io, in un gruppo d’invitati, un pomeriggio del 1964, nel suo ufficio del Ministero dell’Industria) il suo incontro non poteva restare un episodio marginale. Le discussioni che contano sono quelle che che continuano poi silenziosamente, nel pensiero. Nella mia mente la discussione col Che è continuata per tutti questi anni, e più il tempo passava più lui aveva ragione. Anche adesso, morendo nel mettere in moto una lotta che non si fermerà, egli continua ad avere sempre ragione.

Continua ad avere sempre ragione e continua a vivere, perché - in fondo - gli eroi - quelli veri - non muoiono mai.