Obama parla di nuovo alla nazione dopo il discorso della vittoria pronunciato di fronte alla folla di Chicago. L’occasione è quella di una conferenza stampa a seguito della prima riunione dell’economic advisory board che accompagnerà Obama nella fase di transizione fino all’inaugurazione della nuova presidenza prevista per il prossimo 20 Gennaio. Sull’affollato palco della conferenza stampa, accanto a Obama, oltre al Vicepresidente eletto Joe Biden e al neo-nominato capo dello staff presidenziale Rahm Emanuel, ci sono i diciassette membri del board. Tra gli altri: Summers e Rubin, entrambi ex segretari al Tesoro nelle amministrazioni Clinton, l’ex presidente della Federal Reserve Volcker, gli amministratori delegati di Google e Xerox, Eric Schmidt e Anne Mulchay, il Sindaco di Los Angeles Villaraigosa e il Governatore del Michigan Jennifer Granholm.

Obama parla per la prima volta di politica economica da presidente eletto in un giorno particolarmente nero per l’economia americana. In ottobre sono andati perduti altri 240.000 posti di lavoro: 90.000 nel settore manifatturiero, 49.000 in quello delle costruzioni, 38.000 nella distribuzione e 24.000 nella finanza. Su base annua il dato è terribile: 1.2 milioni di posti di lavoro cancellati dalla crisi. La disoccupazione sale così al 6.5%, il dato peggiore dal 1994, mentre per alcuni osservatori si potrebbe arrivare entro metà del 2009 all’8%. Un esercito di più di dieci milioni di disoccupati in grado di battere l’ennesimo record, questa volta addirittura nel decennio ancora precedente: era infatti dal 1983 che nel paese non c’erano così tanti disoccupati in termini assoluti. Ad essere particolarmente doloroso è poi il dato della disoccupazione di lunga durata, con il 22% del totale fatto di persone prive di un lavoro da più di sei mesi. Ancora una volta una prestazione che risulta ineguagliata nell’ultimo quarto di secolo.

Di fronte al progressivo scivolamento del paese dalla crisi finanziaria alla – ormai palese – crisi produttiva, è ormai evidente la volontà dei democratici e del futuro Presidente di intervenire prima dell’inaugurazione del 20 gennaio. Si parla di interventi dalle quantità consistenti: dai 60/100 miliardi di dollari di un primo piano da approvare subito – confidando nella firma del Presidente in carica - a un piano più ampio da approvare questa volta con Obama nel pieno dei suoi poteri e che potrebbe arrivare ai 200 miliardi dollari, almeno secondo il New York Times. L’attenzione del paese è quindi tutta per forme e contenuti di questa fase di transizione: per quanto inconsueta essa possa essere e per quanto rooseveltiani possano essere i contenuti della politica economica di Obama e della maggioranza democratica prima e dopo l’inaugurazione del 20 gennaio.

Alla fine della conferenza si ha la sensazione che i dubbi non siano stati fugati. Nonostante Obama sottolinei più volte come le attese legittime del paese non possano determinare una forzatura delle consuetudini e delle regole costituzionali - “Devo ancora una volta ricordare”, dice il presidente designato, “che c’è un solo presidente alla volta! (…) Non sono il Presidente e non lo sarò fino al 20 di gennaio” – la sensazione diffusa è che la combinazione fra un presidente eletto con un forte mandato e una confortevole maggioranza parlamentare e un presidente in carica ormai quasi invisibile sia destinata a produrre una fase di transizione piuttosto originale.

Dalle misure urgenti alla politica economica: più spesa pubblica
E’ necessario, dice Obama che il Congresso approvi il prima possibile un piano di interventi a sostegno dell’economia. Un piano che riprenda i contenuti emersi alla vigilia della conferenza stampa. “Prima di tutto, abbiamo bisogno di un piano a sostegno della middle class che investa nella creazione di nuovo lavoro a fornisca aiuto a quelle famiglie che vedono i loro salari ridursi e i loro risparmi scomparire. Una priorità particolarmente urgente è l’ulteriore allungamento delle indennità di disoccupazione per quei lavoratori che non possono trovare un’occupazione in un’economia sempre più debole”. Misura che dovrebbe accompagnarsi ad un’estensione contestuale dei food stamps, gli aiuti alimentari alle famiglie indigenti.

Cita anche la necessità di trasferimenti straordinari agli stati e alle amministrazioni locali, che prevengano tagli ai servizi o aumenti nella pressione fiscale. Fra gli interventi urgenti dovrebbe trovare posto, secondo Obama, una misura a sostegno di chi ancora rischia di perdere la propria abitazione a causa della crisi dei mutui subprime. E a domanda diretta risponde che, certo, la sua intenzione di ridurre la pressione fiscale sul 95% dei contribuenti come sulle piccole imprese sarà al centro della sua politica economica e non sarà messa in discussione. Dopo le misure urgenti, si passerà infatti, alla realizzazione del programma presidenziale vero e proprio. “Nel fronteggiare i problemi economici urgenti, inizieremo a disegnare un insieme di politiche che allargheranno la nostra middle class e rafforzeranno l’economia nel lungo termine. Non possiamo ritardare la nostra azione sulle priorità che ho identificato nel corso della campagna: energia pulita, salute, formazione e riduzione della pressione fiscale per la middle class”.

Parla poi delle pessime notizie in arrivo da Detroit riguardo a un’industria automobilistica sempre più in difficoltà. Nel terzo trimestre General Motors ha registrato perdite per 4.4 miliardi di dollari, un risultato disastroso molto vicino a quello realizzato da Ford. Gli effetti della crisi del settore automobilistico – dice Obama - sono devastanti sull’insieme dell’indotto e delle aree del paese nelle quali si concentra la produzione automobilistica. Occorre quindi intervenire perché “l’industria automobilistica è il pilastro del nostro settore manifatturiero e dei nostri tentativi di ridurre la nostra dipendenza energetica”. Per questa ragione, ha chiesto al suo economic advisory board di esplorare ulteriori opzioni – al di là di quelle già in discussione al congresso - per sostenere l’industria automobilistica in particolare nella transizione alla produzione di veicoli a basso consumo e impatto ambientale.

Della crisi finanziaria e del gigantesco bailout approvato dal Congresso prima delle elezioni non si parla. Ma si tratta di un silenzio piuttosto rumoroso, vista la sua crescente impopolarità e l’apparente tentativo della presidenza uscente di condividerne la gestione – ora oggetto di critiche molto feroci – con Obama, a partire dalla scelta del suo direttore. Un connubio che il presidente eletto e il suo partito vogliono a quanto pare evitare.