Prima l’assalto al Palácio do Planalto, sede della Presidenza della Repubblica del Brasile, quindi dritti al Congresso per poi invadere le aule della Corte suprema federale. Queste le tappe dell’attacco sferrato da migliaia di sostenitori dell’ex presidente brasiliano, Jail Bolsonaro, a poco più di due mesi dall’elezione a presidente di Inàcio Lula. Il ricordo corre all'attacco dei trumpiani a Capitol Hill, dopo la vittoria di Joe Biden e, come due anni fa, si alzano le voci di condanna a livello internazionale, ma le responsabilità di questo atto eversivo vanno cercate soprattutto fuori dal Paese sudamericano. 

Immediata la reazione della Cgil, che ha organizzato un presidio a Roma: appuntamento alle ore 16 in piazza di Pasquino.

Atto premeditato

Un’operazione annunciata, come ci conferma Sergio Bassoli (Area politiche europee e internazionali della Cgil e Rete della Pace), per il quale siamo di fronte “all’epilogo di quanto era stato già annunciato da Bolsonaro e da quella cultura di destra che si è insediata in Brasile negli ultimi anni. Un atto che andava prevenuto, visto anche lo spostamento di qualche migliaia di persone radunatesi in assembramenti organizzati a Brasilia e dopo i tentavi di terrorismo, ancora prima dell’insediamento di Lula”.  

Emergono quindi responsabilità da parte delle forze di polizia e di chi doveva garantire l’ordine e prevenire eventuali azioni facinorosi e “tutto ciò è inquietante – prosegue Bassoli - perché non è un atto improvvisato, ma parte da un disegno eversivo che mette in luce un grande problema di debolezza della democrazia messa in discussione da forze che hanno trovato una marionetta in Bolsonaro”. Lo definisce ‘marionetta’ perché, ci spiega, “è lui protagonista, ma non è lui il burattinaio. Chi manovra sono quei poteri che non vogliono assolutamente che si prosegua con le riforme strutturali e costituzionali che porterebbero il Brasile a uscire da quella eredità coloniale che ha permesso sino a oggi la concentrazione e la espoliazione delle ricchezze del Paese, più grosso di tutta l’America latina”.

Una storia già vista

Se poi chiediamo a Bassoli a quali poteri si riferisce, veniamo ributtati negli anni ’70, seppure con qualche variante, e a quanto seppe raccontarci il regista Costa Gravas nel film ‘Missing’: “Non è un segreto che è un problema per gli Stati uniti avere un presidente come Lula nel giardino di casa, perché le rivendicazioni e le politiche messe in campo da lui a dal Partito dei lavoratori vanno oltre la dimensione del Brasile e hanno come finalità un cambio radicale delle politiche continentali e dell’ordine mondiale. Parliamo di più diritti, di redistribuzione della ricchezza a livello globale, di una visione universale dei diritti in totale contrasto all’attuale ordine mondiale, voluta dagli Usa, dalla Cina. Lo vediamo anche con la guerra in Ucraina, che è un prodotto di questa lotta di controllo delle risorse e di egemonia a livello globale”.

L’attacco non riguarda dunque solamente il Brasile, ma l’intera America latina, dove prosegue “la politica distruttiva di colpi di stato striscianti, utilizzando a volte la legge, a volte i mezzi di comunicazione e organizzando anche le fasce di popolazione più marginali, che vengono comperata, illuse, aizzate contro le regole democratiche”.

Bassoli, nel contesto delle politiche statunitensi in Sud America, pensa dunque alle ripercussioni che si potranno avere, ad esempio, in Colombia con l’elezione di Francisco Petro, il primo leader di sinistra a diventare presidente nel Paese, oppure all’Argentina, con la condanna per l’ex vicepresidente Cristina Kirchner: “Quelli che arrivano dal Brasile sono segnali che rallentano e minacciano i processi di democratizzazione e soprattutto i risultati del voto popolare, sempre più messi in discussioni da azioni illegali, da provocazioni e squadrismo fascista. Il controllo dei media e di una certa magistratura contribuiscono poi a una narrazione che confonde l’opinione pubblica sino a portarla ad agire fuori dalla legalità”.