Alle 6 di oggi, ora italiana, sono scattati i dazi trumpiani per decine di Paesi che esportano negli Stati uniti. Alla mezzanotte americana il presidente Usa ha esultato via social: "Miliardi di dollari in arrivo".

Le tariffe sono differenziate per i diversi Paesi, in relazione al loro peso nelle battaglie commerciali ingaggiate da Donald Trump e anche pregresse, vanno dal 10 al 41% a seconda del piano di ristrutturazione globale dell’inquilino della Casa Bianca.

Incrementi e batoste 

E allora vediamo che il 15% è applicato ai paesi dell’Unione europea, Giappone, Corea del Sud, Bolivia, Ecuador, Islanda e Nigeria; il 20% a Sri Lanka, Taiwan e Vietnam, 25% per l’India. 

Al Messico è imposta la tariffa del 25%, come era per il Canada passato ora al 35% come punizione per la volontà di riconoscere lo Stato di Palestina

Stangata per Siria, Myanmar e Laos per i quali i livelli sono sconcertanti: tra il 40% e il 41%. Ancora di più per il Brasile, sulle prime colpito da una tariffa "reciproca" del 10% e poi arrivato al 50% dopo un ordine esecutivo firmato la scorsa settimana da Trump a seguito dell'incriminazione dell'ex presidente Jair Bolsonaro. Con la Cina, dopo essere stata stabilita a maggio l'aliquota del 30%, sono ancora in atto trattative e la data di applicazione è slittata al 12. 

Piani per nulla dettagliati

I dazi più elevati non si applicano però alle importazioni settoriali specifiche come acciaio, automobili, prodotti farmaceutici e chip per le quali il presidente statunitense sta ancora lavorando al piano, anche a suon di minacce. 

Per quanto riguarda poi l’Italia, con i timori di una batosta per il made in Italy esportato negli Usa, le stime sono ancora a livello territoriale, di distretti produttivi, gli accordi tra Washington e Bruxelles non sono ancora stati diffusi nel dettaglio e il governo fatica a esprimersi in materia. 

Tornando alle minacce, Donald Trump ha già sventolato lo spauracchio di un’ulteriore impennata dei dazi per i Paesi che importano materie energetiche dalla Russia e di applicare invece la tariffa del 250% ai farmaci e del 100% sui chip

Non mancano i danni per l’Unione europea: “I dazi al 35% se non investirete negli Stati uniti”, dice il presidente a stelle e strisce. Il suo intento, infatti, nell’incremento delle tariffe sulle esportazioni negli Usa è quello di portare le aziende di tutto il mondo a delocalizzare in territorio statunitense, ma la cosa rimane ancora non conveniente per le industrie. 

La vicenda dei dazi Usa dunque è ancora tutta in divenire, come non sono ancora certe le ripercussioni non solamente per i Paesi esportatori, ma anche per gli stessi Stati Uniti, che potrebbero vedere un’impennata dell’inflazione per l’innalzamento dei prezzi dei beni importati, come la crisi di alcune aziende che, sino a ora e per contenere proprio il fenomeno inflattivo, si sono fatte carico d’ammortizzare l’impatto dei dazi già in vigore. 

L’Unione europea si mostra attendista e poco propensa allo scontro con la Casa Bianca e ancora non si hanno notizie di strategie che possano evitare al Vecchio continente l’asservimento totale al padrone Trump