Pnrr: l’Ufficio parlamentare di bilancio lancia l’allarme, la Cgil conferma le preoccupazioni. Questa potrebbe essere la sintesi delle ore appena trascorse che hanno visto due appuntamenti importanti con al centro lo stato dell’arte dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il 6 dicembre l’Upi, che è l’Autorità indipendente sui conti pubblici, ha consegnato alle commissioni parlamentari una Memoria sul Pnrr e nelle stesse ore il ministro Fitto ha riunito a Palazzo Chigi la Cabina di regia con le parti sociali. Risultati non proprio soddisfacenti, anzi.

Spendere è difficile

Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, fino ad oggi, l’Italia ha speso 28,1 miliardi, poco più del 14% dei quasi 200 miliardi assegnati al Paese, ma siamo già quasi a metà percorso. I progetti, e quindi la spesa, devono essere compiuti entro il 2026. C’è chi sostiene che proprio l’anno che sta per arrivare sarà quello dell’apertura dei cantieri e quindi ci sarà un’accelerazione della spesa. Speriamo. Certo è che il 14% è davvero un po’ pochino. Soprattutto perché la missione più penalizzata sembra proprio essere quella su cui molte erano e sono le aspettative: la sanità.

Case e ospedali di comunità languono

Solo l’1% del 15 miliardi a disposizione sono stati spesi per la sanità. Non solo, è bene ricordare che il piano di revisione del Pnrr proposto dal ministro Fitto e appena approvato dalla Commissione europea taglia ben 414 case di comunità su 1.350, 76 centrali operative territoriali su 600, 96 ospedali di comunità su 400 per un totale di ben oltre 2 miliardi di risorse in meno. Davvero sconfortante, visto che la sanità pubblica non se la passa affatto bene e nella legge di bilancio nulla si prevede. Non sono certo i tre miliardi sul Fondo sanitario destinati allo straordinario del personale e alla sanità privata – e che non consentono nemmeno il recupero dell’inflazione – a fare la differenza. Anzi, quell’importo conferma la volontà del Governo di ridurre il perimetro dei servizi pubblici.

Dove e quando matura il ritardo

Sempre l’Upb nota che ben i 2/3 delle risorse disponibili sono state assegnate: i ritardi sono nella messa a terra. Una delle regioni di questo ritardo è l’enorme  depauperamento degli enti locali e in generale delle pubbliche amministrazioni che sono deputate a far camminare i progetti. E non è un caso che proprio al Sud si registra la minor capacità di spesa. È il Mezzogiorno, infatti, quella parte del Paese in cui si registra la minor presenza di personale a disposizione di Comuni, Città metropolitane e Regioni. Non solo. Si legge nella memoria: “Nel 2021 e nel 2022 sono stati raggiunti tutti i milestone e i target europei. Per il 2023, lo stato di avanzamento segnala il completamento del 54,5 per cento dei milestone e del 20,8 per cento dei target”.

Par di capire, quindi, che è nell’anno uno del Governo Meloni che si sono accumulati ritardi e mancati raggiungimenti di obbiettivi. E non sarà un caso che la quantità di risorse che arriveranno nelle prossime due rate saranno ridotte rispetto a quanto programmato, spostando su quelle successive i miliardi mancanti. Sperando che nel frattempo ci si rimetta al pari con gli impegni presi.

I divari da ridurre

L’Italia è il Paese delle diseguaglianze, questa la ragione che ci ha portato quasi 200 miliari, perché il Pnrr aveva e ha l’obiettivo di ridurre i divari. E tra quelli nostrani quelli tra Nord e Sud sono tra i più penalizzanti. Eppure l’obiettivo del 40% di risorse vincolate al Mezzogiorno rischia di non essere raggiunto. Ancora l’Upb: “Le Regioni del Centro e del Nord registrano quote di gare avviate rispettivamente del 30,1 e del 27,7%, mentre su progetti localizzati nelle Regioni del Mezzogiorno sono state a oggi avviate gare per un importo pari al 19,3 per cento. Le percentuali di aggiudicazione seguono una dinamica simile, attestandosi sulla metà degli importi messi a gara: 15,2 e 14,1 rispettivamente nel Centro e nel Nord e 9,4 per cento nel Mezzogiorno”.

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Appalti, i sindacati hanno ragione

Da tempo una delle denunce di Cgil Cisl e Uil è che la logica del massimo ribasso negli appalti è lesiva dei diritti di lavoratori e lavoratrici perché si scarica sui salari e sulla sicurezza, ed è dannosa rispetto alla qualità dell’opera che si deve realizzare. Ebbene, anche per quel che riguarda il Pnrr il monito sindacale è rimasto inascoltato visto che dalla Memoria risulta che negli appalti assegnati c’è una riduzione diffusa mediamente del 15% rispetto alle base d’asta.

Christian Ferrari, segretario generale Cgil Veneto © Simona Caleo ()

Allarmante la Cabina di regia

Contemporaneamente all’invio della Memoria in Parlamento, il ministro Fitto riuniva la Cabina di regia con le parte sociali. E quanto illustrato non ha fatto altro che confermare quanto scritto nella Memoria e le preoccupazioni della Cgil. Il giudizio di Cristian Ferrari, segretario confederale di Corso d’Italia all’uscita dall’incontro è netto: “Abbiamo molte perplessità su quanto ascoltato. La prima preoccupazione riguarda il forte ridimensionamento della Missione 5 (Inclusione e Coesione), che perde 3 miliardi. Questo avrà sicuramente un impatto negativo sulla riduzione delle diseguaglianze e dei divari territoriali. Sulla nuova settima Missione (RepowerEu), non convince la decisione di incentrarla sugli incentivi automatici e generalizzati alle imprese (a partire dai crediti di imposta pari a 6,3 mld per Transizione 5.0), a discapito degli investimenti pubblici diretti. In tal modo si tagliano risorse agli Enti locali (in particolare su efficienza energetica, rigenerazione urbana, piani urbani integrati), e si destinano, inevitabilmente, più soldi al Nord (che, per la sua struttura produttiva, attirerà la maggior parte degli incentivi) e meno al Mezzogiorno”.

Altro che transizione ambientale e riduzione delle emissioni

“L’altro aspetto problematico - aggiunge Ferrari - è la concentrazione di molte risorse sullo sviluppo di infrastrutture e progetti legati alle fonti fossili. La consideriamo un’impostazione sbagliata, un errore strategico, perché siamo convinti che una vera autonomia energetica di prospettiva si possa raggiungere solo con un forte rilancio delle fonti rinnovabili.

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Ritardi su ritardi

“I progetti e gli interventi espunti dal Pnrr – sottolinea il segretario della Cgil – hanno un valore complessivo pari a 15 miliardi, tra investimenti su territori e infrastrutture (localizzate in particolare a Sud), di cui ben 10 miliardi a carico degli enti locali. Il Governo ha garantito coperture alternative per portarli avanti, senza indicare nemmeno oggi le fonti di finanziamento. Inoltre, c’è un rilevante slittamento temporale di molti obiettivi, progetti e risorse, con particolare concentrazione nel biennio 2025-2026: un eccessivo accumulo di scadenze negli ultimi due anni, con un evidente rischio di intasamento e di effetto 'collo di bottiglia'; e un forte depotenziamento delle rate 4 e 5 con impatto nel 2024, anno molto complicato e con un obiettivo di Pil programmatico particolarmente ambizioso (+1,2%)”.

E le conclusioni sono davvero amare

“Infine – conclude Ferrari - non vorremmo che con questa operazione di restyling e revisione complessiva del Pnrr si perdesse l’occasione per affrontare le ben note criticità strutturali emerse nella prima fase di implementazione del Piano: le insufficienti capacità amministrative e progettuali della pubblica amministrazione; le clausole occupazionali non ancora garantite (almeno il 30% di nuovi posti di lavoro da destinare a giovani e donne); il vincolo di almeno il 40% del Pnrr per il Mezzogiorno (attualmente non assicurato nei bandi pubblicati)".