La strategia di Meloni e dei suoi ministri è chiara: ridurre gli investimenti pubblici, e quindi lo sviluppo, destinati dal Pnrr e non, alle regioni meridionali. Lo ha dimostrato la Svimez lo scorso 19 settembre nel corso di una audizione di fronte agli Uffici di presidenza delle Commissioni 4 e 5 del Senato “leggendo insieme” due documenti del governo, la Terza Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr e le Proposte di modifica del Piano presentate lo scorso 7 agosto alla Commissione europea.

La Terza Relazione sull’attuazione del Pnrr

I conti son presto fatti: sono 83 i progetti del Pnrr che presentano elementi di criticità rispetto alla realizzazione. Criticità determinate da un lato dall’aumento dei costi dei materiali dovuto all’inflazione e dal difficile reperimento degli stessi materiali, in secondo luogo da una difficoltà degli enti attuatori a mettere a terra le risorse e avviare i lavori. Il punto è che stiamo parlando di 95,5 miliardi di euro (circa la metà dell’intero ammontare del Pnrr), di questi ben 54,5 miliardi sono destinati a infrastrutture che a loro volta per oltre la metà – più di 27 miliardi – sono destinati a opere localizzate nel Mezzogiorno.

Cosa rischia il Sud

Se davvero questi 83 progetti dovessero non essere realizzati nei tempi previsti dall’Europa, l’obiettivo di fondo di Nex Generation Eu, quello per cui all’Italia sono stati assegnati fondi rilevantissimi, la riduzione dei divari territoriali difficilmente sarà raggiunto. Afferma la Svimez che gli interventi a rischio “sono caratterizzati da un forte potenziale di crescita, non solo per i maggiori effetti moltiplicativi sul reddito esercitati nel breve-medio periodo, ma per il contributo che offrono nel lungo periodo al miglioramento della qualità dei servizi e al rafforzamento della competitività delle imprese”. La domanda, allora, ècosa sta facendo il governo – a cominciare dall’aumentare la capacità amministrativa degli enti locali che era prevista - affinché questa occasione non vada persa?

Risponde la Cgil

“Siamo all’emergenza”, risponde Cristian Ferrari, segretario confederale della Cgil che aggiunge: “Dovremmo parlare dei veri nodi che da tempo stiamo sollevando al ministro Fitto: mi riferisco a un sistema competitivo dei bandi che non funziona, e soprattutto della capacità amministrativa di tanti enti locali, in particolar modo localizzati nel Mezzogiorno. Siamo di fronte a un circolo vizioso, i Comuni non hanno capacità amministrativa, non riescono a spendere e invece di aiutarli gli si tolgono le risorse. Questo non è fare politica, è fotografare e prendere atto dell'esistente. Mentre il primo obiettivo del Pnrr dovrebbe essere proprio quello di ricostruire una dimensione pubblica e di capacità amministrativa, soprattutto nelle aree che da tempo scontano questo come uno dei principali problemi anche rispetto alla capacità di attuare implementare i programmi di investimento e di programmazione europea”.

Le proposte di rimodulazione del Pnrr

È oramai, purtroppo, cosa nota: lo scorso 7 agosto a Bruxelles è arrivato un plico inviato dal ministro Fitto contenente le modifiche indicate dal governo al Pnrr. Sconcertanti, da tanti punti di vista, non ultimo quello dei sindaci e delle sindache che affermano si taglino progetti in fase avanzata di attuazione – in molti casi i lavori sono già cominciati o sono in procinto di esserlo – e che colpiscono, quei tagli, proprio i progetti destinati a periferie e alla riduzione delle fragilità. E soprattutto colpiscono, anche in questo caso, il Sud. Dall'analisi della Svimez, infatti, emerge con chiarezza che ben il 48% delle risorse cancellate finanziavano opere localizzate al Sud. È bene ricordare che almeno il 40% degli investimenti destinati ai territori avrebbero dovuto arrivare proprio alle regioni meridionali. Aggiunge Ferrari: “A distanza di oltre un mese dal blitz agostano, con la rimodulazione proposta il governo, a oggi, non ha ancora chiarito motivi e ragioni reali dei tagli e dei definanziamenti che ha deciso”.

Casualità o dolo?

Ciò che davvero sconcerta è che molti degli interventi cancellati con un tratto di penna non sono tra quelli definiti a rischio dal Terzo Rapporto sullo stato di attuazione del Pnrr. Insomma, tagliati per scelta deliberata e non causata da ritardi o difficoltà. Sembra proprio che si voglia penalizzare i comuni e quelli del Mezzogiorno in particolare. E per di più si tagliano proprio i fondi destinati alla rigenerazione urbana, alle periferie, al verde pubblico, insomma a quei progetti che molto più di manette e poliziotti servirebbero a tirar fuori dalla violenza e dalla miseria luoghi come Ponticelli e Caivano. Proprio il direttore della Svimez Luca Bianchi, intervenendo in un convegno sulla scuola ha affermato: “A Caivano serve un esercito, ma di maestre e maestri. L'unico investimento per costruire un nuovo modello contro le disuguaglianze”.

Oltre il danno la beffa

Alle insistenze dei sindaci che ovviamente non vogliano sospendere i lavori per opere indispensabili e già in fase di avanzamento, il governo ha sostenuto che le risorse tagliate arriveranno da altri fondi europei. Intanto ancora non è stato definito da quali e tutto rimane nell’incertezza, e poi se davvero si pensasse di stornare sulle opere del Pnrr quelle del Fondo di coesione significherebbe che risorse già destinate al Sud ma per altri progetti finanzieranno quelle del Pnrr al Sud e pure nelle altre zone del Paese. A pagare lo scotto di queste decisioni prive di motivazioni, ancora e solo i cittadini e le cittadine meridionali.

Il sindacato non ci sta

“Deve essere chiaro – dice con forza Ferrari - che per la Cgil serve un approccio sistemico e di coordinamento tra i diversi strumenti e interventi previsti sia dal Pnrr che dalla programmazione europea, in particolare, la prossima 21-27. Questo è un approccio che abbiamo sempre sostenuto, non siamo disponibili al gioco delle tre carte. Il saldo complessivo delle risorse destinate al Sud tra tutti questi strumenti deve rimanere tale e non può ridursi, cosa che invece temiamo rispetto a una manovra che non ha ancora chiarezza nei suoi contorni e soprattutto negli obiettivi. Siamo nell’incertezza più totale, manca una visione e una strategia complessiva”.

Si favorisce il Nord

La preoccupazione è che in maniera surrettizia, ma neanche troppo, Meloni e ministri attuino strategie che alla fine favoriscono le regioni del settentrione. Conclude il segretario confederale: “Se guardiamo a uno dei punti centrali della rimodulazione del Pnrr, si scopre che i tagli agli investimenti pubblici diretti in particolare al Sud, servono a finanziare i soliti incentivi automatici alle imprese che – oltre a essere in larga parte inefficaci - sono concentrate soprattutto in una determinata parte del Paese. Finora le scelte fatte dal governo invece di mettere al centro dell’agenda il Sud lo penalizza, dall’abolizione del Rdc alla rimodulazione del Pnrr, dal no al salario minino ai tagli a scuole e sanità, fino all’autonomia differenziata. È anche contro questa linea e per un vero cambiamento che parta dal Mezzogiorno che saremo in piazza il 7 ottobre per dire forte e chiaro che se non riparte il Sud non riparte l’Italia”.