“Uno degli obiettivi più ambiziosi e cruciali per il Piano nazionale di ripresa e resilienza è la riduzione dei divari territoriali. In particolare, quelli tra il Sud Italia – storicamente svantaggiato soprattutto a livello socio-economico – e il resto del paese. Ma quel che emerge da diversi studi a analisi sembra negare questa opportunità storica, alimentando al contrario ulteriori divari non solo tra meridione e settentrione ma anche all’interno delle aree e tra le città”. È quanto afferma il segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, commentando lo studio presentato al Politecnico di Bari e coordinato dal professor Gianfranco Viesti, per il Laboratorio di osservazione urbana, che ha preso in considerazione 11 misure del Pnrr di rilevante interesse per le città, con interventi che vanno dalla rigenerazione urbana ai mezzi di trasporto pubblico, dall’edilizia residenziale fino a porti e reti.

Secondo l’indagine coordinata dall’economista tra i meridionalisti più ascoltati, alle città del mezzogiorno va il 38%, sotto la famigerata quota del 40%, ma sorprende anche il divario tra città. “Lo studio - commenta Gesmundo - afferma che se a Brescia sono destinati risorse per 2.302 euro per abitante, a Foggia ne vanno solo 102. È evidente che attiene ad alcune specificità così come alla capacità progettuale degli enti, con l’amministrazione Daunia commissariata per infiltrazioni mafiose. Ma non va meglio per altri grandi comuni come Lecce con 366 euro o Barletta con poco oltre 400”.

Da tempo Vesti denuncia come la sperequazione tra risorse destinate alle diverse regioni del Paese sia causa dell’approfondirsi del divario tra Nord e Sud.  Le spese correnti che ogni anno vengono definite dalla legge di bilancio, non solo non tengono conto delle necessità del Sud, ma non sono nemmeno proporzionali al numero di abitanti dei diversi territori. Anzi in passato si è “premiato” chi già era avanti, basti pensare che le risorse per gli asili nido andavano ai comuni che già li avevano. E gli impegni del Pnrr sembrano proprio non rispettati.

La Cgil pugliese è d’accordo con quanto afferma lo studioso: “Lo affermiamo da tempo, serviva una regia politica a livello nazionale e territoriale; invece, si è proceduto frammentando le misure tra i vari dicasteri e ognuno ha agito con logiche differenti, spesso condizionate anche dall’indirizzo politico, in barba al decreto legge 77 del 2021 che sancisce come alle regioni del Mezzogiorno debba andare almeno il 40%”.  Gesmundo, parla a ragion veduta prendendo spunto dal periodico monitoraggio del Dipartimento per le Politiche di coesione della Presidenza del Consiglio, “che ha il compito di verificare periodicamente che gli enti titolari rispettino la quota indicata. Ebbene, il monitoraggio al 31 gennaio affermava che 9 ministeri su 22 non rispettano la quota Sud. Si tratta dei ministeri della giustizia, dell’università e della ricerca, della cultura, della transizione ecologica, del lavoro e delle politiche sociali, del turismo, dello sviluppo economico. A questi si aggiungono inoltre il commissario straordinario del governo per ricostruzione sisma e il dipartimento della protezione civile. E i due dicasteri che destinano meno risorse, attorno al 25%, sono quelli guidati da esponenti della Lega, ovvero il Mise e il Ministero del Turismo. Un paradosso, considerando l’importanza del settore turistico per le regioni del sud Italia e la necessità di un impulso decisivo allo sviluppo economico del mezzogiorno. Come se non bastasse il partito del Nord torna a parlare di autonomia differenziata”.

Eppure, lo ricordava il dirigente sindacale, tra gli obiettivi del Piano europeo e tra le ragioni della quantità di risorse destinata all’Italia, c’è proprio la riduzione dei divari. “In sostanza - conclude Gesmundo - si tradisce quel che il Pnrr afferma di voler fare e soprattutto se l’Italia è il Paese destinatario della fetta maggiore del Recovery Plan è proprio in virtù dei divari territoriali, sociali e generazionali. Chiediamo alla Regione Puglia di convocare il tavolo di confronto per analizzare quanto sta emergendo e nel caso far sentire la propria voce a livello governativo. Ma assieme serve intensificare il confronto con tutti gli attori sociali e istituzionali locali affinché con le non meno importanti risorse del Fesr e del Fse si possano integrare gli interventi del Pnrr, sostenere i punti di forza individuati e colmare lacune e mancate risposte, assieme provando a sostenere quelle amministrazioni locali che lamentano difficoltà rispetto alla progettazione per la candidatura ai bandi del Piano nazionale”.

C’è ancora tempo per correggere la rotta. L’auguri e che non venga sprecato. Altrimenti, a pagarle le conseguenze in termini di sviluppo sarebbe l’intero Paese.