Il 17-18 maggio 1981 milioni di italiani andarono alle urne per decidere se cancellare o meno la legge 194, quella che regola l’aborto nel nostro Paese. Il referendum era stato promosso dai Pro Life e da ambienti del mondo cattolico. Ma l’Italia scelse di non tornare indietro: il 68 per cento votò “No” all’abrogazione. Una vittoria storica per i diritti delle donne.

Ma oggi, a più di 40 anni da quel voto, siamo sicuri che quel diritto sia davvero salvo? La legge 194 era stata approvata nel 1978, tre anni prima del referendum. Tuttavia fu una conquista sofferta: passò alla Camera con soli 12 voti di scarto. Un equilibrio fragile allora, che continua a esserlo ancora oggi. Perché l’aborto in Italia è legale. Ma non del tutto accessibile.

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"POTEVI PENSARCI PRIMA”

“Potevi pensarci prima”, “Ti sei divertita e adesso ne paghi le conseguenze”, “Stai buttando una vita nella spazzatura”, “Sicura di voler abortire?”. Non sono frasi fatte né inventate. Sono parole riportate di frequente dalle donne che hanno dovuto confrontarsi con la scelta di interrompere volontariamente una gravidanza. Parole usate nei corridoi delle strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, dove ogni giorno una donna che decide di abortire deve sentirsi giudicata, scoraggiata, persino ingannata da chi dovrebbe tutelarle.

L’abuso di obiezione di coscienza mette a rischio la salute delle donne

Tra medici obiettori che superano il 60 per cento in alcune regioni, strutture ostili e commenti indesiderati, interrompere una gravidanza può diventare un percorso a ostacoli che nemmeno l’ultra-triathlon. La legge che regola l'interruzione volontaria di gravidanza, allo scopo di tutelare la salute delle donne, è la stessa che garantisce ai medici il diritto all’obiezione di coscienza, consentendo al personale sanitario di astenersi da tale pratica per motivazioni personali.
 


L’articolo 9 della legge recita: “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. È fondamentale, dunque, conoscere e definire i limiti all’obiezione. “In Italia non solo l’obiezione di coscienza, ma anche l’abuso di obiezione di coscienza mette a rischio la salute delle donne e lede i loro diritti sessuali e riproduttivi”, spiega in una nota la Libera associazione italiana ginecologi (Laiga) per l’applicazione della legge 194/78.

GIULIA PALMIGIANI
GIULIA PALMIGIANI
GIULIA PALMIGIANI

Costrette ad ascoltare il battito del feto

Tutte le donne che hanno abortito raccontano di essere state costrette ad ascoltare il battito del feto. E c’è chi ha ricevuto prescrizioni mediche (vitamine, analisi) per continuare la gravidanza, nonostante avesse chiarito al ginecologo l’intenzione di interromperla. Vicende che sono arrivate ad assumere risvolti raccapriccianti, come nel caso della scoperta dei cimiteri di feti sepolti senza consenso delle interessate, tra cui il cimitero Flaminio di Roma.

I ProVita, la stanza dell’ascolto e i soldi per chi non abortisce 

Dal 2024 i gruppi antiabortisti sono tornati in ospedali e consultori, grazie a una norma contenuta nel decreto per l’attuazione del Pnrr, poi divenuta legge. Emblematico è il caso dell’ospedale Sant’Anna, il primo in Piemonte per numero di Igv, in una regione pioniera nell’introduzione dell’aborto farmacologico. Qui i volontari del Movimento per la Vita oggi gestiscono la “stanza dell’ascolto”, uno sportello per le donne che vogliono abortire, offrendo un sostegno economico una tantum a chi sceglie di non farlo.

Gli obiettori che si rifiutano anche in presenza di gravi patologie

Per quelle per cui l'aborto non è stata una scelta, ma una tragica fatalità, il percorso non è più tutelato nè il trattamento più docile. Esperienze negative sono riportate continuamente anche da chi ha dovuto subire un’interruzione terapeutica, per via di gravi patologie in utero sopraggiunte in stato avanzato. Molte donne raccontano di aver dovuto macinare chilometri per un raschiamento, perché alcuni medici obiettori si rifiutano anche in presenza di gravi patologie.

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Le donne che hanno vissuto l’esperienza di un aborto spontaneo raccontano spesso di essere state ricoverate nello stesso reparto con chi aveva appena partorito o era in procinto di farlo. Costrette a fare l’ecografia per la conferma dell’assenza di battito mentre a pochi metri di distanza altre donne al nono mese di gravidanza facevano i monitoraggi, ascoltando il suono nitido e forte di quello stesso cuore. Donne in fasi diverse delle loro vite, messe su due letti vicini nella stessa stanza, su lati opposti di una stessa corsia, senza alcun rispetto per la condizione di salute e il momento vissuto.

Chi legge davvero la legge?

La negazione alla libera fruizione di un diritto – quello di abortire – si accompagna alla mancanza di cura e sensibilità verso le donne. Così può capitare di ritrovarsi, in diverse fasi della propria vita, a sentirsi comunque e ripetutamente private di un diritto: che sia la scelta di non avere quel figlio, la necessità di vivere il dolore di averlo perso, la gioia di averlo appena visto nascere. La legge 194 è legge. Ma chi la legge davvero? In teoria il diritto all’aborto è garantito. Sulla pratica, serve un ripasso.

Aborto e congedo di maternità, la legge che manca