I numeri diffusi dall’Associazione italiana editori alla fine della XXIII edizione della Fiera nazionale della piccola e media editoria di Roma “Più Libri Più Liberi” confermano, seppur non direttamente, le sensazioni di chi in questi giorni si è aggirato tra i locali della Nuvola, tentando di captare gli umori provenienti dietro e davanti gli stand dei 604 espositori.

Umori contrastanti, che raccontano di un andamento non dissimile dall’anno precedente (c’è chi dichiara un buon aumento delle vendite, chi perdite di quasi il 30 per cento), unito alla percezione di un leggero calo dei visitatori, anche se i 750 eventi pubblici hanno registrato il consueto pienone in quasi ognuna delle sale.

Ma se un libro, se un editore, vende di più o di meno può dipendere da vari fattori, compreso il prezzo di copertina, che gli organizzatori hanno provato ad ammortizzare con un biglietto d’ingresso ridotto rispetto all’anno scorso (da 13 a dieci euro), e alcuni ticket promozionali per famiglie e scuole.

Tralasciando la già sin troppo nota polemica di turno (“ogni anno ce n’è una”, ha maliziosamente commentato qualcuno), restano nodi da risolvere di non poco conto, a partire forse da un ripensamento generale del concetto stesso di fiera editoriale, delle sue motivazioni fondanti, delle sue finalità. Anche di questo parla Marco Guerra, storico fondatore di “Pagina 348”, libreria indipendente che dal 1992 insiste e resiste proprio in questo stesso territorio, nel quartiere dell’Eur.

“Resistere è proprio il termine adatto”, inizia Guerra: “In questi ultimi vent’anni abbiamo visto quanto la presenza della Fiera, in questo luogo e in queste giornate (dicembre è il mese più favorevole per le vendite in libreria) influisca su questo Municipio, molto composito. Oltre la nostra, in pratica non esistono più livrerie, hanno chiuso una dopo l’altra, a partire dalla storica La Palma in Viale Europa, o quella in via dei Congressi, o l’altra che incrociava viale Shakespeare. L’ultimo a chiudere, due mesi fa, è stato un franchising Mondadori”.

Continua il libraio: “Noi, in via Cesare Pavese, ci sentiamo come gli ultimi superstiti. Per trovare un’altra libreria bisogna andare a Spinaceto, o in Tor De’ Cenci, o nei due centri commerciali costruiti di recente in zona”. Tutta colpa della Fiera? “Certo che no. Il numero dei titoli pubblicati aumenta ogni anno, mentre i lettori diminuiscono, per non parlare del commercio online non regolamentato. Quanto può reggere ancora un (non) sistema simile?”.

La riflessione riguardo l’organizzazione di Più Libri Più Liberi si sposta su altri elementi spesso tenuti poco in considerazione, come l’ormai certificata suddivisione degli espositori tra piano terra e piani superiori, dove tra zona lounge e lo spazio dedicato allo scambio di diritti d’autore ci si dedica soprattutto alla proposta di quei “grandi eventi” riempiti da ospiti arruolati nei grandi gruppi editoriali, che dunque di “piccolo” e “medio” hanno ben poco.

Per molti si tratta dell’escamotage che permette di mettere piede anche qui, quando il regolamento riguardante il fatturato massimo dei partecipanti non lo permetterebbe. Per altri, sono proprio questi grandi nomi a garantire un aumento del numero di visitatori, dunque una ricaduta positiva nelle vendite dei libri.

“Qui ci troviamo di fronte a un altro tipo di problema”, prosegue Guerra: “A rimetterci, in questo caso, sono gli editori piccoli e medi. Da qualche anno, infatti, la tendenza di una buona parte dei visitatori è quella di intervenire agli incontri inseriti nel programma, magari andandosene senza aver comprato neanche un libro”.

Viene da chiedersi se non debbano essere gli editori stessi a opporsi con più forza: “Non vorrei creare frizioni con gli editori, che sono nostri amici, noi vendiamo i loro libri. Ma ogni anno, dal 2022, ci promettono che faranno cambiare il periodo temporale della Fiera, e poi non cambia mai. Vorrei evidenziare un solo dato: nei mesi di novembre e dicembre si vendono il 50 per cento dei libri del restante anno”.

Viene anche da chiedere il motivo della sua presenza tra gli stand: “In questi anni molti editori ci hanno chiesto di curare i loro stand durante Più Libri Più Liberi, sia per la nostra competenza sia per risparmiare su viaggio e soggiorno, nel caso di marchi non romani. Da un paio di edizioni abbiamo deciso di accettare per continuare, in ogni modo, a resistere. D’altra parte siamo noi a seminare durante l’anno, con i circoli di lettori, le tante iniziative promozionali, sensibilizzando alla lettura. Solo che si raccoglie sempre meno”.

Mentre l’inconfondibile rumore del nastro da pacchi annuncia la fine anche di questo giro di valzer, il prossimo vedrà un nuovo direttore editoriale alla ribalta, Giorgio Zanchini, che ha già dovuto rettificare i contenuti di una sua recente intervista riguardo il nuovo incarico, alimentando i fuochi di una prossima polemica. Speriamo che il buongiorno non si veda dal mattino.