Il Sud che guarda il Nord, il Nord che guarda il Sud. È particolare notare come in questo Festival ormai in dirittura d’arrivo, questo scambio di punti di vista si ritrovi in più di un titolo. La diaspora degli asiatici del Sud- Est nell’Asia moderna, per esempio, la racconta la durissima e sorprendente opera prima di un giovane autore di Singapore, Chiang Wei Liang con Mongrel in concorso alla Quinzaine des cinéastes. Siamo nelle campagne di Twain dove un boss senza scrupoli gestisce il traffico di clandestini.

Vengono dal Vietnam, dalla Tailandia, dalle Filippine e impiegati, in semi schiavitù, a fare da badanti, senza salario da mesi. Oom è uno di loro, si prende cura di un’anziana e di suo nipote disabile. Nella cupezza di queste vite la sua umanità è un faro.

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Un altro Sud, poi. Il Sud America che Oliver Stone, narratore da Oscar di tanta storia americana, torna a raccontare con un nuovo capitolo delle sue interviste ritratto. Protagonista è Lula, il presidente del Brasile recentemente rieletto dopo la macchina del fango messa in moto dai suoi avversari politici (Stati Uniti in testa e finanza) che l’ha trascinato in carcere per corruzione. Ed è lo Stone migliore, l’autore militante che mette insieme i pezzi del mosaico nascosti dietro all'operazione anti-corruzione “Lava Jato”, con l'aiuto del giornalista investigativo dietro i “File Snowden”, le cui rivelazioni hanno portato alla liberazione di Lula.

Contemporaneamente il film ci mette in guardia dal crescente pericolo rappresentato per le nostre democrazie dalla “strumentalizzazione politica della giustizia” e si distingue come un resoconto mozzafiato di una delle più grandi rimonte politiche del nostro tempo.

Politica e corruzione, del resto, sono anche i temi attorno a cui ruota il ritratto giovanile di Donald Trump, The Apprentice firmato dal regista iraniano (altro sguardo incrociato), esiliato in scandinavia, Ali Abbasi, qui al suo primo film americano e in corsa per la Palma d’oro. Si narra, appunto, degli anni di formazione, nonché l’apprendistato al business senza scrupoli e senza regole a cui si forma questo ragazzone (Sebastian Stan) di buona famiglia repubblicana, grazie al patto faustiano con l'avvocato Roy Cohn (Jeremy Strong), conservatore e radicale e ricattatore di politici.

Una lezione, la sua, che il giovane Trump imparerà fin troppo bene. Il film termina quando l’ascesa sarà compiuta e si intravedono le prime crepe dell’impero Trump. “Cosa farebbe se i suoi affari cominciassero ad andare male”, gli chiede una giornalista. “Mi candiderei alla Casa Bianca”.

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