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Rullo di tamburi: l’occupazione sale. Assolo di tromba: i numeri fanno la ola. Poco importa chi, come o quanto vieni pagato. L’importante è che la cifra faccia notizia, il comunicato suoni trionfale e la premier sorrida sotto i riflettori. Il lavoro cresce come la muffa: prolifera ovunque, ma non migliora l’aria. A spingere i dati sono gli over 50, spremuti fino all’osso e rimandati al fronte.
I giovani? Scomparsi. Non lavorano, non protestano, non disturbano. Evaporati dai radar, come se il Paese li avesse licenziati in anticipo. Non chiedono un contratto: cercano un’uscita di sicurezza. Mentre gli esperti dibattono su merito e tirocini, loro si dissolvono in silenzio. Nessun rumore, nessun corteo. Solo vuoto pneumatico.
Crescono gli autonomi, dice l’Istat. Aumentano come i cerotti al pronto soccorso: sintomi di un sistema che si rompe e non si ripara. Partite Iva intermittenti, contratti da giocoliere, compensi in buoni pasto e insonnia cronica. Ma finché la curva sale, va tutto bene. Ci si mette sopra una bandierina, e via.
Poi la grande conquista: le donne lavorano di più. Brindisi, fanfara, petali. Ma se il prezzo è una paga da sopravvivenza, turni doppi e il solito carico domestico regalato alla patria, chiamarlo progresso richiede una faccia tosta in titanio. Non è avanzamento, è manodopera in quota rosa. Il mercato mica le integra, le assorbe, le sfrutta e le espelle con garbo istituzionale. Un applauso, una statistica e sotto con la prossima.
Se questa è la ripresa, allora io sono Indro Montanelli. La verità è che si occupano corpi, ma si svuotano vite. Si lavora fino a cadere, si applaude per obbligo, si muore sotto il sole mentre il governo twitta record su record. L’occupazione cresce, sì. Ma il lavoro è sparito. E con lui pure la dignità.