“La precarietà non è un mestiere”. Sul palco affollatissimo della Quinzaine des cinéastes, l’altro palco, quello della sezione indipendente e ribelle del Festival di Cannes, l’apertura è stata nel segno della nuova battaglia dei lavoratori dello spettacolo.

I rappresentanti del collettivo Sous les écrans la dèche hanno scelto la vetrina internazionale della kermesse per una rivendicazione avanzata da tempo, a fronte di una nuova legislazione che li spinge sempre più verso la precarietà.

Sono i lavoratori dei festival, dagli addetti alla comunicazione, all’organizzazione, alla logistica. Centinaia e centinaia di lavoratori dietro le quinte impegnati nella promozione del cinema, della cultura che, dal primo giugno, si ritroveranno senza assicurazioni e alcuna garanzia. Eppure sono coloro che permettono la realizzazione dei tanti, tantissimi festival francesi. Compreso questo di Cannes dove la minaccia dello sciopero, proprio in questi giorni, è l’arma utilizzata per ottenere l’incontro con la ministra del lavoro, Catherine Vautrin.

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Un cinema dei diritti

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Battaglie fuori e dentro gli schermi. Alla spicciolata in questa prima tranche di Croisette, infatti, il tema è corso come una sorta di filo rosso. Guerra compresa. Quella proletaria raccontata da Roberto Minervini ne I dannati, già in sala per Lucky Red ed unico dei due titoli italiani in gara: l’altro è l’attesissimo Parthenope di Paolo Sorrentino che corre per la Palma d’oro, mentre questo nella sezione Un Certain Regard.

Dopo tanto cinema documentario a raccontare l’America più profonda e marginale (partendo da una folgorante “trilogia texana”), quella che ha catturato da subito questo autore di origini marchigiane che degli States ha fatto la sua prima casa, Minervini sceglie qui il cinema di finzione per addentrarsi nella guerra di Secessione americana.

In tempi di reazione e trumpismo è quello, del resto, il luogo in cui si rispecchia, minaccioso, il presente. Di quello scontro tra civiltà noi siamo al seguito di un battaglione di nordisti, in pattuglia in una zona di confine. Contadini, lavoratori che si sono arruolati per un salario (splendidi volti di non professionisti) piuttosto che un ideale. Come in un deserto dei tartari americano, in cui l’attesa diventa condizione esistenziale, l’insensatezza della guerra (e delle morti) appare in tutta la sua crudeltà.

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Tappeti rossi e lotta di classe

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Senza vederla neanche un secondo ma raccontata nelle sue conseguenze devastanti è, invece, la Prima guerra mondiale di The Girl with the Needle, il nuovo, durissimo, film dello svedese Magnus von Horn. Siamo a Copenaghen a conflitto appena terminato. Karoline è una giovane operaia che attende il marito dal fronte, vivendo nella povertà più nera. L’incontro col padrone della fabbrica e il figlio in arrivo le costeranno anche l’impiego. Quando il marito tornerà a casa, però, non sarà un lieto fine: mutilato nel volto (porta una maschera di metallo per nascondere le cicatrici) e nello spirito troverà la sua strada come fenomeno in un circo. “Il figlio della colpa” di Karoline la porterà, invece, ad affrontare una nuova battaglia per la sopravvivenza, svelandole (e svelandoci) il dramma del traffico delle adozioni clandestine. Il film è ispirato ad una storia vera che allora sconvolse la Danimarca: un’assassina seriale di neonati, convinta dal canto suo di salvare tutti questi piccoli “indesiderati” da un futuro di miserie e tormenti.

Un’umanità che ha perso la bussola, alla deriva, in totale decadenza, del resto è anche quella che popola New Rome, la Megalopolis del futuro (neanche troppo) di Francis Ford Coppola, film-evento di questo festival, dove l’85enne autore americano torna in concorso dopo quarantacinque anni dalla Palma d’oro ad Apocalypse Now, mitologico capolavoro pacifista sulla guerra del Vietnam.

In questo nuovo film della vita, “riscritto fino a 300 volte nel corso degli ultimo 40 anni”, Coppola strapazza un po’ la storia romana divertendosi in una rilettura dei classici in cui Cesare Catilina (il sempre efficace Adrian Driver), una sorta di Elon Musk, architetto e illuminato si scontra con Franklyn Cicero, sindaco ultraconservatore, palazzinaro senza scrupoli e cinico affarista. In mezzo ai due la figlia dello spietato sindaco, Julia Cicero (la bella Nathalie Emmanuel) che ridarà a Cesare quel che è di Cesare: l’amore perduto e un bel pargolo per il futuro. Tra metafore e altre metafore, assistiamo a scontri di piazza, senza casa in lotta, speculazioni di ogni sorta, colpi bassi tra contendenti al potere. E divertenti costumi in chiave peplum, con drappeggi a mo’ di mantelline. Forse la cosa più riuscita del film.