Tutto secondo copione. Un copione già scritto, rispettato in ogni suo passaggio. Si è conclusa ieri, con la tradizionale cerimonia al Ninfeo di Villa Giulia di Roma nel primo giovedì del mese di luglio, l’edizione numero 79 del Premio Strega, in un clima torrido che ha costretto ciascun invitato a munirsi di ventaglio color verde, gentilmente offerto dall’organizzazione.

A vincere Andrea Bajani con L’anniversario, edito da Feltrinelli, libro favoritissimo sin dai mesi scorsi, ancor prima della scrematura in dozzina. Con i 194 voti raccolti supera di gran lunga gli altri quattro finalisti, Elisabetta Rasy con Perduto è questo mare (Rizzoli, 133 voti), Nadia Terranova, autrice di Quello che so di te (Guanda, 117 voti), Paolo Nori e il suo Chiudo la porta e urlo (Mondadori, 103 voti); quinto posto per Michele Ruol con Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (Terrarossa, 99 voti).

Un pronostico dunque rispettato più o meno anche nell’ordine conclusivo, quasi a testimonianza di un evento divenuto fin troppo prevedibile, soprattutto negli ultimi anni, sempre più avari di sorprese letterarie. E a restituire questa sensazione di deja vu forse hanno contribuito anche i contenuti dei titoli in cinquina: tutti, a parte la scelta di Paolo Nori di raccontare a modo suo la storia del poeta riminese Raffaello Bandini, declinati seppur in forma diversa attorno al tema della famiglia.

Quello di Bajani è infatti un libro che racconta il distacco volontario e definitivo di un figlio dai propri genitori, avvenuto ormai da un decennio, da cui scaturisce il titolo. Non più disposto a far parte di un nucleo familiare dominato dalla figura paterna, padre-padrone della quotidianità di una moglie-madre che accetta ogni cosa, compreso un tradimento dichiarato, il figlio maschio decide di tagliare anche le visite sempre più sporadiche, di cambiare numero di telefono, di cambiare Paese, costruendo così un muro invalicabile tra lui e la sua famiglia per dieci anni, considerati sin dall’incipit “i migliori della mia vita”.

Da qui l’autore affonda la sua penna nelle contraddizioni di un patriarcato fuori tempo, anche se, come lo stesso Bajani ha ricordato subito dopo la vittoria, “mi hanno insegnato che la letteratura deve contestare la versione ufficiale, e troppo spesso questa versione è quella patriarcale. Con L’anniversario ho avuto la necessità di contestarlo dal punto di vista di un maschio”. Al suo tredicesimo romanzo in poco meno di 25 anni, Bajani era già arrivato in finale (con lo stesso editore) nell’edizione 2021 grazie a Il libro delle case, probabilmente tra i migliori della sua carriera di scrittore, al tempo meno considerato di quanto avrebbe meritato.

Si potrebbe dunque pensare a una sorta di risarcimento rispetto alla precedente partecipazione; ma se i voti della giuria dovessero rispondere anche a queste, di dinamiche, il valore dello Strega perderebbe ulteriore significato. Se invece deve essere anche un premio alla carriera, allora forse proprio Paolo Nori avrebbe dovuto ricevere, non da quest’anno, qualche attenzione istituzionale in più da parte del mondo della letteratura italiana.

Un’ultima notazione riguardo l’evento mondano della serata conclusiva, trasmessa in diretta televisiva, che l’anno prossimo per l’edizione numero ottanta potrebbe spostarsi dalla sede storica del Ninfeo, direzione Cinecittà, e che ha dato ragione al ministro della Cultura Alessandro Giuli: senza di lui, ma soprattutto senza Geppi Cucciari, il potenziale divertimento è stato sostituito da un piattume generale molto vicino a un sentimento di noia diffuso, risollevato a momenti soltanto dalle incursioni attoriali di Filippo Timi e dal ricordo a mezzo secolo dalla morte di Pier Paolo Pasolini, tre volte concorrente allo Strega, e mai vincitore. C’è di che consolarsi.

L’assenza del ministro, parole sue, è stata determinata anche dal mancato recapito all’indirizzo del suo dicastero dei romanzi finalisti, forse perché qualcuno ha ritenuto, data la ritrosia del suo predecessore soltanto nello sfogliarli, potesse trattarsi di spedizione inutile. Ma se la reale intenzione era leggerli davvero, i cinque libri in gara il nostro ministro avrebbe anche potuto acquistarli, in qualche forma e maniera. Come noi comuni mortali.