Nessun dubbio. Si fosse trovato a vivere la drammatica pandemia che ha segnato il mondo quest’anno, travolgendo le vite dei più deboli e umili, Alessandro Leogrande avrebbe alzato la voce. Una voce stentorea e mite la sua, che sembrava udire chiunque - ieri come oggi - leggesse i suoi articoli, i suoi libri, lo ascoltasse nei media.

Avrebbe alzato la voce per scuotere le coscienze, in questo difficile frangente che vede l’Italia affannata, con ampie sue parti - a cominciare dal Mezzogiorno - che si scoprono vulnerabili, incapaci di dare un minimo di garanzia di tenuta di fronte all’emergenza sanitaria, vittime di sbudellamento e della voracità di certo establishment, indifferente - per non dire ostile - all’interesse collettivo.

La voce di Alessandro avrebbe continuato a echeggiare a mo’ di megafono della resistenza intellettuale, per quei pezzi di vita – i migranti e rifugiati - che certo pensiero insidioso vede come stracci, “scarti di umanità”, per mutuare la formula di Papa Francesco, da ricacciare nel silenzio dei tombini. Nelle settimane e nei mesi della quarantena marziale, nel tentativo di fermare la propagazione dell’epidemia, Alessandro sarebbe stato in trincea con noi per rivendicare a gran voce tutele e attenzione per quei figli del vento stipati senza nulla negli accampamenti rurali informali e nei ghetti, costretti a lavorare nei campi in condizioni inique, per garantire la sicurezza alimentare della comunità nazionale.

Nella non lontana stagione di chiusura dei porti e di demonizzazione del modello Riace, nel solco di una retorica pubblica condita a editti lapidari come “la pacchia è finita”, Alessandro non starebbe stato a guardare. Si contraddistingueva sempre per la straordinaria capacità di scendere in campo, a difesa della dignità delle persone.

La passione tutelare che vede la Flai (la Federazione Cgil dei lavoratori dell’agroindustria, ndr) dispiegata quotidianamente e la partigianeria umana di Alessandro non potevano che intrecciarsi. Correva l’anno 2008 - coinciso con la Grande Depressione - quando prese avvio il rinnovato corso della lotta allo sfruttamento e al caporalato nei campi con la campagna “oro rosso”. Alessandro partecipò attivamente. Aveva da poco pubblicato Uomini e caporali, capolavoro che racconta le vicende esiziali che hanno deturpato - e tuttora deturpano - la dignità del lavoro nel Tavoliere della Capitanata, quegli stessi luoghi che videro germogliare l’ascesa di Giuseppe Di Vittorio, mostro sacro della lotta per il diritto a un’esistenza libera e dignitosa scaturente dal lavoro. Ieri, erano i cafoni meridionali e le mondine impegnate nelle risaie tra Pavia, Novara e Vercelli ad essere schiacciati dalla prepotenza dei predoni. Oggi, sono sempre più i migranti a farne le spese. La strada per eliminare lo sfruttamento e il caporalato dalla filiera agroalimentare è ancora lunga. Sarà inevitabilmente irta di ostacoli, ma la conquista più alta resta la legge 199/2016, cui ha contribuito Alessandro con i suoi articoli e le sue inchieste.  
 

Il cammino della Flai con Alessandro aveva anche una tappa fissa nel Premio Jerry Masslo, articolato appuntamento biennale intitolato all’esule e stagionale sudafricano ucciso a Villa Literno nell’89. Lo scrittore e giornalista tarantino, improvvisamente scomparso il 26 novembre 2017, era un pilastro della giuria impegnata a deliberare di volta in volta sulle opere di varia natura maggiormente espressive sulle tematiche dell’accoglienza, dell’inclusione, della convivenza civile, del lavoro migrante.

In virtù della sua particolare sensibilità e della profonda conoscenza delle condizioni inique di vita e di lavoro delle donne e uomini occupati nell’economia primaria, Alessandro era componente del comitato scientifico dell’Osservatorio Placido Rizzotto che cura il Rapporto agromafie e caporalato, la cui quinta edizione è stata presentata il 16 ottobre scorso.

Che dire poi delle frequenti interlocuzioni, la condivisione della militanza rispetto a battaglie che talvolta cristallizzano le passioni facendo perdere di vista il loro alto valore, come nel caso del riconoscimento della cittadinanza ai figli dei migranti. Una battaglia che vedeva Alessandro convintamente schierato dalla parte del buon senso e del sano pragmatismo.

Per tenere accesa la fiamma del suo impegno sociale e civile, la Flai, in collaborazione con la Slc e la Fondazione Di Vittorio, ha istituito il Sostegno al reportage sociale Leogrande. Con uno scopo: promuovere la realizzazione di reportage sociale ad opera di giovani autori, ispirandosi e collegandosi idealmente al lavoro intellettuale e letterario del compianto giornalista e scrittore.

Nessun dubbio. Alessandro è stato un argine a certa narrazione tossica che ignora le sofferenze patite, i drammi vissuti, le speranze sepolte. In nome della frontiera. È stato la voce di una contro-narrazione che vede nell’alterità innanzitutto persone. Con le nostre aspirazioni, i nostri sogni. Le nostre solitudini, anche collettive e le nostre fragilità. Altrimenti si finisce “per condividere gli stessi parametri del discorso dominante, pur rovesciandolo”, Alessandro Leogrande dixit.

Jean-René Bilongo, Flai Cgil Nazionale