Durante i primi giorni di lockdown, molti autori e registi si sono resi conto della portata di ciò che gli italiani stavano vivendo ed è emerso il desiderio di testimoniare quel preciso periodo storico. Questo medesimo desiderio ha legato sedici professioniste del cinema e dello spettacolo, provenienti da diverse parti d’Italia, di diversa età e background che, mosse dall’urgenza di raccontare la portata storica del momento, hanno creato il collettivo “Tutte a casa”, un esempio di partecipazione, orizzontalità e gentilezza tutto al femminile. 

Il collettivo “Tutte a casa” ha creato una forma organizzativa e lavorativa con un’anima aperta e dai ricchi contenuti sociali. Sfruttando la velocità e simultaneità del web, ha creato un sistema open source di scambio dati e organizzazione efficiente delle risorse, con uno scopo ben preciso: raccontare - raccontandosi - in un documentario, le donne italiane in lockdown con tutte le loro problematiche lavorative e relazionali. 

 “Tutte a Casa” è il titolo di un film, ma anche di un collettivo di lavoro, di una produzione cinematografica, di una organizzazione lavorativa che mette al centro la memoria, le persone, la partecipazione. Le regole sono state chiare fin dal primo giorno: ognuna delle partecipanti al documentario è autrice e regista, tutte le decisioni vengono prese collegialmente, il lavoro è diviso in reparti e le riunioni sono frequenti e assidue. Tutti i ricavati verranno devoluti ad una associazione per la tutela delle donne.

In un momento in cui la narrazione pubblica della pandemia era affidata prettamente a uomini, politici, virologi, esperti di politiche sanitarie, il collettivo “Tutte a casa” ha concentrato la sua attenzione sulle donne. Queste, forse, sono state meno colpite dal virus, ma si sono rivelate le figure più appesantite dalla gestione familiare, dalla cura dei bambini, degli anziani, della casa. 

Il 17 Marzo 2020 e’ uscita la prima call pubblica lanciata sul web. Ad oggi il progetto conta oltre 3.500 contributi, inviati da più di 100 donne italiane. 

Il cinema post-covid cambierà sostanzialmente. Questa pandemia ha intaccato inesorabilmente la dimensione sociale del cinema, il valore della visione comune, che crea condivisione attraverso l'esperienza in sala. La fruizione è oggi, per cause di forza maggiore, tutta affidata alle piattaforme digitali e all’on-demand, Ma il cinema ha bisogno di comunità, di socialità, di scambio. In questi mesi, il distanziamento sociale sarà l'antidoto alla propagazione del contagio. In un contesto che predilige la fruizione solipsistica e il ritorno all'individuo,  Il sistema produttivo alla base del progetto “Tutte a casa” inverte la rotta. Questo progetto ribadisce il valore della partecipazione, dell’orizzontalità, delle comunità organizzate dal basso. Solo così anche le nostre anime, insieme ai corpi, saranno salve. Da questa convinzione e da questa esperienza è nato un film, un collettivo, una comunità di donne desiderose di raccontare se stesse e le altre.