Sin dalle prime scene 11 giorni è una soggettiva che ti porta dentro, cancello dopo cancello, insieme agli occhi di Nicola Zambelli, regista della web-serie che entra nel Nero Fischione di Brescia. Con una percentuale di presenze che ha superato, tra il 2023 e il 2024, il 200%, il penitenziario più affollato d’Italia apre le sue porte a un racconto nudo e crudo, che esce tutti i giorni sulla pagina instagram del progetto @11giorni, in un gioco di numeri che regala 3 episodi al giorno, per un totale di 33. I numeri, per chi vive dietro le sbarre hanno un peso enorme: gli anni che si contano, le persone che si perdono, quelle con cui si condivide una quotidianità fatta di spazi angusti, sporcizia, violenza.

IL PROGETTO 

Il documentario è una produzione InPrimis, Smk Factory e Associazione Carcere e Territorio, con la collaborazione del Comune di Brescia e il contributo di Cooperativa Bessimo e della dottoressa Doriana Galderisi, psicologa. I protagonisti della serie sono i detenuti che hanno preso parte a un percorso educativo volto alla creazione di momenti di riflessione, con l’obiettivo di trovare una modalità innovativa per arrivare al mondo dei più giovani. Il laboratorio ha permesso la raccolta di materiali testuali e audio interviste, che hanno costituito la traccia orale del racconto 11 Giorni.

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LE VOCI DEI DETENUTI

Una narrazione fatta prevalentemente di spazi riempiti da voci, in cui l’assenza fisica dei protagonisti è colmata dalla presenza di suoni e di storie. Una staffetta di parole e storie senza filtri. “Qui neanche la tua vita ti appartiene più” spiega uno dei protagonisti, per restituire il senso di una privazione che va oltre la punizione. Il compito del carcere dovrebbe essere quello di rieducare e preparare a una vita diversa fuori. Ma spesso non lo fa, perché gli educatori - e i progetti proposti- non ce la fanno a confrontarsi con i numeri del sovraffollamento, non riuscendo a dare a tutti la giusta risposta. Giorno dopo giorno la sporcizia, la mancanza di igiene e il degrado - persino i topi sono quotidiani compagni di cella – fanno dimenticare il senso della parola dignità.

DIPENDENZA E PSICOFARMACI

Dietro le sbarre, la violenza resta ancora il linguaggio prevalente degli scambi, mentre il disagio psicologico generato dalla clausura viene troppo spesso gestito con l’uso di psicofarmaci, quello che i detenuti chiamano “la terapia”. Una forma di assuefazione peggiore della droga, da cui non ci si libera nemmeno una volta fuori. L’uso di medicine in alcuni casi rende più violenti, in altri inebetisce, ma comunque ostacola in maniera irrecuperabile il percorso di consapevolezza e di maturazione.

SE IL CARCERE NON RIEDUCA

Nessuno dei detenuti intervistati ritiene il carcere ingiusto, ma quello che colpisce è la lucida analisi di quanto la vita dentro non aiuti a diventare migliori. Di come il carcere non supporti le persone nella costruzione di un’alternativa. E se così è, queste stesse persone una volta libere “entro dodici mesi torneranno di nuovo dentro”, come osserva uno degli intervistati.

GLI EPISODI

Ogni episodio di è una riflessione autentica sul confine tra carcere e libertà, uno sguardo profondo su una quotidianità che si fa fatica persino a immaginare. Attraverso un percorso di giustizia riparativa, i detenuti hanno raccontato le loro storie alla telecamera che guida lo spettatore nel penitenziario, con un doppio fine. Da un lato, quello di permettere ai detenuti di confrontarsi con se stessi. Chi ha la fortuna di riuscire ad accedere a percorsi di rieducazione attraverso l’arte, chi frequenta la biblioteca e gli altri spazi comuni, ha davvero la possibilità di immaginarsi un futuro fuori dal carcere.

PARLARE AI GIOVANI

L’altro importane obiettivo è parlare ai più giovani, i veri destinatari del progetto. Durante incontri tematici proposti alle scuole superiori di secondo grado, il racconto video costruirà infatti un ponte tra il mondo dei detenuti e quello delle ragazze e dei ragazzi, per dire loro che si è sempre in tempo per scegliere una strada diversa. Una vita diversa.