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Dalla capitale tedesca arriva uno stop pesante sul cammino di Chat control nell’Unione europea: il governo di Friedrich Merz ha deciso di opporsi apertamente alla proposta di regolamento Csar (Child Sexual Abuse Regulation), più noto appunto come “Chat Control”. Il motivo, dichiarato senza ambiguità, è la tutela della riservatezza dei cittadini.
Il rifiuto di Berlino equivale a un veto politico di fatto: senza il voto favorevole della Germania, non si raggiunge la maggioranza qualificata necessaria per avviare il confronto formale tra Consiglio, Commissione e Parlamento. L’intero impianto della proposta europea — pensata per contrastare la diffusione online di materiale pedopornografico — resta così bloccato. E il voto inizialmente previsto in Consiglio lo scorso 14 ottobre è stato rinviato a dicembre.
Il segnale di rottura è arrivato dopo che la ministra della Giustizia Stefanie Hubig (Spd) ha ribadito in sede europea le parole, già dure, pronunciate al Bundestag dal capogruppo della Cdu Jens Spahn: “Controllare le chat in modo generalizzato equivale ad aprire la posta di ogni cittadino per verificare se contenga qualcosa di illecito. È una violazione intollerabile della sfera privata. Non lo permetteremo a Bruxelles”.
A seguito di questa presa di posizione, la riunione del Consiglio dei ministri dell’Ue prevista per il 14 ottobre è stata cancellata, rinviando nuovamente la discussione su uno dei dossier più divisivi dell’attuale legislatura europea.
Il “Chat Control”, proposto nel 2022 dalla commissaria Ylva Johansson, prevede che le piattaforme digitali e i servizi di messaggistica — incluse quelle che utilizzano la crittografia end-to-end — debbano analizzare automaticamente i messaggi, le immagini e i video inviati dagli utenti per individuare eventuali contenuti illegali.
Un meccanismo che, secondo molti esperti di cybersicurezza e associazioni per i diritti digitali, rischia di trasformarsi in una forma di sorveglianza preventiva e di compromettere la sicurezza stessa dei sistemi di comunicazione cifrata su cui si basa la privacy digitale.
Negli ultimi mesi, lo scenario sembrava ormai delineato: Francia, Spagna, Irlanda e Italia orientate verso il sì, ma senza i numeri necessari per superare la soglia del 65% dei voti. L’intervento tedesco ha però ribaltato le previsioni, costringendo Bruxelles a rinviare il voto e a preparare un nuovo negoziato entro la fine dell’anno.
A mediare tra le diverse posizioni sarà la presidenza di turno del Consiglio europeo, attualmente detenuta dalla Danimarca, uno dei Paesi finora più favorevoli alla proposta. Tuttavia, dopo il “no” di Berlino, la possibilità di una mediazione appare remota.