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L’Italia in una regione” recitava uno slogan sul turismo nelle Marche. Uno slogan che ben si addice anche alla situazione economica attuale perché qui la crisi morde e scarica tutti i suoi effetti sull’occupazione, sulle imprese grandi e medie ma soprattutto piccole e piccolissime. Ne parliamo con il segretario generale della Cgil Roberto Ghiselli che dal suo osservatorio spiega lo stato delle cose e l’azione svolta del sindacato in un contesto sempre più logorante.
Rassegna Segretario, qual è la situazione dell’industria nelle Marche?
Ghiselli Veramente difficile. Sono anni che il manifatturiero marchigiano subisce i pesanti effetti della crisi. In particolare le piccole imprese, le prime a pagare il calo degli ordinativi e l’esposizione finanziaria con gli istituti di credito, ma poi anche le altre, fino ad arrivare a diverse fra le più importanti imprese della regione, come l’Antonio Merloni, la Indesit, la Berloni. Per la verità non tutti i nostri problemi hanno origine dalla crisi iniziata nel 2007- 2008. Quello scossone ha messo in evidenza ed enfatizzato le debolezze strutturali del nostro sistema produttivo, che erano già presenti. Per esempio l’eccessiva frammentazione delle imprese, la concentrazione nelle attività manufatturiere di media e bassa qualità, la sottocapitalizzazione e l’alta esposizione finanziaria. Caratteristiche che, stretti nella morsa costituita dalla nuova concorrenza internazionale e dalla mancanza di credito, hanno fatto in modo che le Marche siano fra le regioni che hanno subìto una maggiore regressione sia in termini di occupati sia di Pil rispetto al periodo precrisi. Ad esempio, il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre del 2007 era al 2,7%; ora, nello stesso trimestre del 2014, è arrivato all’8,9%; e il numero dei disoccupati è passato da 18.930 a 62.040. Da tempo la Cgil sottolineava l’esigenza di un cambiamento e di un rafforzamento del nostro sistema produttivo, ma era l’epoca delle facili fortune e noi eravamo le solite cassandre.
Rassegna Quali sono i settori più in difficoltà?
Ghiselli Certamente l’edilizia e il suo indotto. In particolare le opere pubbliche e le nuove lottizzazioni. Sembrano reggere meglio le ristrutturazioni e, in questo caso, le piccole imprese hanno risultati leggermente più positivi rispetto alle grandi o a quelle che lavorano in subappalto nei grandi cantieri. L’edilizia ha un alto livello di credito deteriorato (attorno al 17%) che sta comportando la chiusura delle linee di finanziamento e la richiesta di rientro da parte delle banche. Poi ci sono i settori dell’arredamento e degli elettrodomestici, anche questi in qualche modo collegati alle costruzioni, il primo poco internazionalizzato e quindi vittima del calo della domanda interna, il secondo esposto alla concorrenza dei paesi emergenti e a processi di delocalizzazione. Altri settori che hanno particolarmente sofferto sono la cantieristica e la meccanica strumentale. Dopo un tonfo iniziale sono in ripresa le macchine utensili e altri comparti della meccanica. Il calzaturiero, particolarmente importante nella nostra regione, fino a pochi mesi fa aveva retto abbastanza bene, anche per il salto qualitativo delle sue produzioni, ma la recente crisi dei rapporti con la Russia ha determinato un crollo delle esportazioni (attorno al 25%). L’anno in corso ha inoltre visto un calo pesante delle attività turistiche e commerciali. Solo l’agroalimentare ha retto abbastanza bene, soprattutto grazie alle eccellenze di nicchia; ma questo settore nelle Marche non ha un peso quantitativamente rilevante.
Rassegna Ci sono segni di ripresa?
Ghiselli No, non ne vedo. Il Pil regionale continua a scendere, l’occupazione è stagnante, il ricorso agli ammortizzatori sociali rimane altissimo. Gli ordinativi dell’industria nel primo semestre 2014 continuano a contrarsi (-1,90%); anche il saldo delle imprese cala: nel 2013 hanno chiuso 11.094 aziende, i fallimenti sono passati dai 116 del primo semestre 2012 ai 127 del 2014. Possiamo solo dire che alcune imprese, quelle meglio organizzate, più solide finanziariamente, con buoni prodotti e un mercato estero consolidato, hanno ripreso appieno l’attività, alcune anche ad assumere, ma sono davvero una piccola parte rispetto al totale.
Rassegna Di chi sono le responsabilità?
Ghiselli Sono di molti e distribuite nel tempo. Sono la somma di ritardi cronici del nostro sistema, che riguardano non soltanto il tessuto produttivo ma anche il sistema amministrativo, le infrastrutture, i costi esterni, a iniziare dall’energia, la criminalità e la corruzione. La crisi ha inoltre messo in evidenza un fallimento della classe imprenditoriale del nostro paese, che, salvo lodevoli eccezioni, ha praticato una politica del profitto facile, del vivere alla giornata senza una strategia, scaricando sul lavoro tutte le possibilità competitive. Questo vale soprattutto per le grandi famiglie, scappate con il bottino alle prime difficoltà. Trovo veramente irritanti le prediche di Confindustria rivolte a tutti ma in particolare ai sindacati, proprio nel momento in cui se c’è un soggetto che si è dimostrato molto conservatore e al di sotto delle sue responsabilità nazionali è stato soprattutto il nostro capitalismo. E poi la politica: quella che ha fatto finta di non vedere la crisi, quella che ha riproposto costantemente ricette inefficaci, incentrate sul rigore assoluto, sulla precarietà del lavoro, sulla mancanza di politiche industriali. E non metterei sullo stesso piano gli ultimi governi, compreso quello attuale, rispetto ai governi Ciampi e Prodi, che hanno cercato di affrontare situazioni difficilissime, raggiungendo anche alcuni importanti obiettivi, come l’ingresso nell’euro, con il coinvolgimento delle parti sociali e con politiche ampiamente condivise.
Rassegna “Il lavoro al centro”, l’occupazione come emergenza numero uno, nel contesto politico attuale, sembrano scomparsi.
Ghiselli Nelle politiche del governo non ci sono. Ci sono invece le imprese ma non è la stessa cosa, ovviamente. Il problema principale del governo è quello di ridurre ulteriormente i diritti dei lavoratori e detassare “a pioggia” il lavoro, senza alcun impegno sul fronte degli investimenti pubblici e privati, e del sostegno alla ricerca e all’innovazione delle imprese. Jobs Act e Legge di stabilità sono ingiusti e inefficaci.
Rassegna Come agisce la Cgil per sostenere i lavoratori? E quali soluzioni propone per contrastare una crisi che sembra infinita?
Ghiselli Il lavoro condotto dalle nostre strutture in questi anni è stato immenso. Sono state centinaia le crisi aziendali affrontate dalle categorie, cercando di contenere il ricorso agli ammortizzatori e ai licenziamenti. Con le innumerevoli difficoltà e incertezze nella gestione della cassa integrazione in deroga. Molte situazioni si sono risolte grazie al nostro impegno, con il ritiro o il ridimensionamento dei piani di mobilità, molto spesso con un cambiamento negli assetti aziendali. Sono tante e di rilievo le imprese marchigiane cedute in questi anni a multinazionali straniere, come la Indesit e la Poltrona Frau agli americani, la Berloni, la Benelli Moto e molte aziende della cantieristica da diporto a imprese dell’estremo oriente. Sul piano politico abbiamo richiesto e gestito a più livelli istituzionali i fondi anticrisi, con l’obiettivo di intervenire a sostegno delle situazioni di difficoltà economico-sociale e di favorire le politiche attive del lavoro. Più difficile è stato ottenere risposte sul fronte degli investimenti pubblici e privati e della creazione di nuove opportunità occupazionali, utilizzando tutte le pur limitate risorse disponibili. La scarsa capacità di innovare, rischiare, immaginare nuove soluzioni ha caratterizzato il comportamento di molte amministrazioni e imprese. Il rapporto con il sistema delle autonomie a livello regionale è stato complessivamente utile, anche nella gestione di singole vertenze, e con la contrattazione sociale. Per fortuna, la negazione del ruolo confederale e sindacale qui non ha ancora attecchito.