Il 31 maggio 1996 a 74 anni moriva un protagonista della storia italiana del 900: Luciano Lama, una vita a tutto tondo, sempre impegnata con rigore e passione sui temi del lavoro e del vivere civile. Questa mattina la sua biografia politica e sindacale è stata ricordata e celebrata in forma solenne in quel Senato, del quale fu vicepresidente tra 1992 e 1994, dal presidente emerito, Giorgio Napolitano, dal presidente e vicepresidente del Senato – Grasso e Fedeli –,  da Cesare Romiti, Susanna Camusso ed Edmondo Montali, storico della Fondazione di Vittorio.

Pietro Grasso ha ricordato le tappe principali della sua vita: Resistenza, politica e sindacato, “dove fu chiamato con straordinaria intuizione dal suo primo ‘maestro’, Giuseppe Di Vittorio che gli insegnò l’importanza fondamentale del rapporto con le masse”.  Fu uomo “di grande carisma, tale da diventare ‘lui’ la Cgil”. Grasso ha sottolineato il ruolo di Lama nei momenti anche più drammatici della storia italiana, come quelli del terrorismo: “È stato tante cose, ma sempre con quella responsabilità e fermezza che lo rendono padre e strenuo difensore della democrazia”.

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Il sindacalista che parlava al paese

Edmondo Montali ha sottolineato la stella polare di Lama: “L’unità sindacale. Anche in questo fu figlio di Di Vittorio, soprattutto nel momento in cui essa fu molto vicina a realizzarsi tra 1970 e 1972”. Per Cesare Romiti “Lama fu sempre leale, ed è stato un uomo tra i più coraggiosi che abbia mai conosciuto. Abbiamo avuto scontri, ma sono sicuro che, se oggi ci fosse, ci aiuterebbe a risolvere i grandi problemi che abbiamo oggi”.

Susanna Camusso, ha ricordato che Luciano Lama “è un padre della Cgil, lo è nell'immaginario collettivo della nostra organizzazione, lo è per il Paese”. Ed è stato sempre “un protagonista, in ogni luogo di direzione in cui si sia trovato”. “La sua – ha ricordato la sindacalista – è stata una vita straordinariamente intensa, di grandi conquiste, ma anche segnata, come la storia del Paese, da grandi drammi. È Lama che dirige la Cgil negli anni del terrorismo. Che guida la mobilitazione del sindacato in difesa della democrazia. Che traccia con nettezza i confini, non permettendo mai di smarrirsi”.

“Lama, i padri della Cgil – ha aggiunto –, sono uomini della Resistenza, della liberazione dell'Italia dal nazifascismo, della conquista della democrazia e delle sue regole. Partecipano ai lavori della Costituente. Sanno e non perdono di vista il perché dell'articolo 1 della Costituzione. Con loro, tutti i componenti della Costituente, nelle loro differenze politiche e culturali, pensavano al lavoro”. E proprio “la Repubblica fondata sul lavoro è fondamento e responsabilità per il movimento sindacale”.

Questo fondamento di responsabilità, spiega uno dei convincimenti più forti di Lama, e cioè che “il sindacato deve sempre essere portatore di interessi generali”, che vengono sempre prima. Fu, ha ricordato Camusso, segretario generale della Fiom dopo la sconfitta alla Fiat, e fu quindi “protagonista del dibattito sui limiti necessari alla centralizzazione della contrattazione. È forse quell’esperienza, quella stagione, che lo ha portato, e porterà poi tutto il sindacato, alla definizione dei due livelli contrattuali, in cui però il livello aziendale non deve vivere un possibile isolamento”.

Altro tema fondamentale nella sua riflessione e azione è quello dell’autonomia sindacale, declinata però in termini complessi e originali: per lui, ha ricordato il numero della Cgil, “essa si realizzava essenzialmente sul terreno della partecipazione diretta dei lavoratori alle scelte del sindacato”. “Senso dell'autonomia, contrasto alla corporazione, coraggio di misurarsi con il cambiamento”, queste per Camusso alcune delle virtù che di Lama rimangono ancora vive.

Molto partecipe anche la testimonianza del presidente Napolitano: “Lama – ha ricordato – è la figura per eccellenza del dirigente sindacale. Insieme, tenace combattente e appassionato negoziatore”. Un fautore, in questo “autentico continuatore di Di Vittorio”, di “una visione alta della democrazia e dell’interesse nazionale come interessi comuni e per i quali i lavoratori e le loro organizzazioni devono essere capaci di scelte forti e responsabili”. In alcuni casi, ha ricordato Napolitano, anche a prezzo di sacrifici onerosi, “perché non bisognava mai chiudersi in approcci angustamente rivendicativi e corporativi, ma stare sempre in prima linea per lo sviluppo e il rilancio dell’economia italiana. Il ruolo del sindacato sta, infatti, nel contribuire alla soluzione dei problemi generali del paese”. La definizione giusta del leader sindacale era “quella che si dava lui stesso di ‘riformista unitario’ e la sua lezione deve ancora oggi essere da ispirazione per chi oggi opera nella sfera sociale e del lavoro”, ha concluso il presidente emerito.