In piazza ci sono anche le mele del Trentino. Sulla destra, le trovi, nell'anfiteatro romano di piazza San Giovanni, nel villaggio delle Regioni italiane: quelle colpite dalla crisi, come un castello di carte che cadono a una a una. A sinistra le categorie: anche questo un villaggio colpito dal terremoto della crisi. E' costruendo un Villaggio del lavoro carico di senso - perché il villaggio indica operosità, spirito di collaborazione, solidarietà - che la Cgil ha deciso oggi di rappresentare la prova durissima alla quale sono esposti quei lavoratori che hanno creato la ricchezza e il tessuto di diritti che hanno contributo a ricostruire e costruire questo paese.

"Il lavoro prima di tutto", campeggia un po' ovunque. E nel villaggio a ribadirlo si aggirano uomini sandwich. "Pubblicità" triste, la loro. Sui cartelloni nei quali si avvolgono stanno scritti i numeri della disfatta: ore di cassa integrazione e mobilità, esuberi, tagli. 

Davanti al palco uno schermo luminoso proietta foto, testimonianze. Una mi ha colpito in particolare. Sullo scenario della devastazione abruzzese, in sovraimpressione appare questa scritta: "Salve, siamo due insegnanti di 41 e 60 anni. Abbiamo voglia di dare una mano e aiutare a riscostruire". Gli insegnanti: i fannulloni, quelli che lavorano poco, 18 anziché le 24 che vorrebbe il ministro.

Poi leggo una vignetta di Staino. Un giovane dice a uno un po' meno giovane - ma mica di tanto - che sta seduto dietro a una scrivania: "Salve ho finito gli studi. Avete lavoro?". Risposta: "Dipende da quanto puoi pagare".

Le voci dei lavoratori, mentre scrivo, hanno iniziato a parlare dal palco. Cambiano i problemi, si impennano e mutano anche le manifestazioni. Questo non è un corteo, ma un villaggio. La distanza tra palco e platea si assottiglia, lavoratori ovunque, anche in sala stampa, dove sono quasi tutti giovani: che contratti avranno, quanto li pagheranno a "pezzo"? Non abbiamo tempo di dircelo. Fuori è pieno, ci sono facce e voci da raccogliere e grazie a Dio c'è anche un bel sole che passa attraverso le capanne del villaggio: dove già da due ore instancabili narratori ti raccontano, solo che ti fermi per un istante, il lavoro che non c'è più o che, se c'è, non è più degno chiamarsi lavoro.

Eccolo, davanti allo capanna della Fiom, che ieri ha incassato una storica sentenza favorevole ai licenziati dalla Fiat di Pomigliano d'Arco, il segno positivo: i lavoratori - tutti i lavoratori di questa piazza - magari in alcuni momenti sono costretti a piegarsi, ma non si spezzano mai. Stanno lì in piedi e orgogliosi: e fanno bene.