Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n.2 2016 de La Rivista delle Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna dedica alla stessa Rivista

 La crescita e la visibilità assunta dalle generazioni figlie delle migrazioni internazionali costituiscono uno dei cambiamenti più rilevanti nella popolazione scolastica italiana degli ultimi venti anni (si è passati dallo 0,5% al 9,2% della popolazione scolastica, cui bisogna aggiungere decine di migliaia di cittadini italiani per acquisizione). Nonostante il ruolo giocato nei processi di inclusione, nel sistema scolastico sono presenti condizioni di discriminazione sociale e istituzionale.

La letteratura nazionale e internazionale ci restituisce un quadro ampio e articolato di rischi di discriminazione. Fra i più rilevanti possiamo identificare: • la “discriminazione nello spazio”, cioè la segregazione delle minoranze in scuole, classi (e quartieri) in cui i contatti inter-gruppo sono ridotti; • la “discriminazione nei percorsi”, cioè gli ostacoli al successo formativo, come voti bassi e bocciature; • la “discriminazione nelle transizioni”, cioè la canalizzazione in percorsi formativi specifici, in genere più svalutati socialmente; • la “discriminazione fra pari”, che incide sui corsi di vita, producendo forme di isolamento, esclusione e stigmatizzazione.

I fattori che influenzano i percorsi scolastici dei figli dell’immigrazione sono legati a fattori sociali e istituzionali, come la mobilità e la diseguaglianza sociale e l’architettura istituzionale del sistema d’istruzione. Sistemi con lunghi percorsi generalisti (che non differenziano le classi per abilità), transizioni limitate e ritardate nel tempo sembrano essere più efficaci. L’Italia è caratterizzata da un sistema educativo comprensivo, ma caratterizzato da investimenti scarsi e poco efficaci e da una notevole frammentazione. Inoltre, è un Paese dove diseguaglianza e bassa mobilità sono strutturali. Per cogliere meglio il posizionamento dell’Italia possiamo utilizzare alcuni strumenti comparativi sulle politiche (come il Migration policy index), sulle competenze (come Pisa-Ocse) e sulle carriere educative e le transizioni (come la Labour force survey Eurostat).

Sul lato delle politiche, nel confronto comparativo l’Italia è particolarmente carente nella capacità di cogliere l’immigrazione come opportunità formativa, che richiama la necessità di revisionare i curricula e valorizzare le competenze e conoscenze degli alunni stranieri. Per quanto riguarda le competenze, l’Italia ha una quota di low achievers particolarmente elevata, sia fra gli stranieri che fra i nativi: il gap non è molto marcato, seppure i livelli complessivi siano preoccupanti. Per l’Italia è più evidente della media lo svantaggio che permane anche a parità di condizioni socio-economiche, evidenziando difficoltà specifiche affrontate da chi ha un retroterra migratorio di prima o di seconda generazione.

Per quanto riguarda gli abbandoni scolastici, i dati italiani sono molto peggiori rispetto a quelli degli altri principali Paesi europei. Il gap per Paese di nascita è molto ampio ed evidenzia un serio problema. Per l’analisi del caso italiano disponiamo negli ultimi anni di analisi ricche e sempre più approfondite. I rapporti del Miur e dell’Ismu, alcune indagini Istat, ricerche fatte da diversi/e studiosi/e. Il ritardo scolastico rimane uno dei problemi più annosi e corposi, legato alle modalità di inserimento in classe e di accompagnamento, ai voti, alle bocciature e agli abbandoni.

L’inserimento in classi inferiori a quelle corrispondenti per età rimane una scelta frequente e deleteria; il tasso di non ammissione alle classi successive degli stranieri è sette volte superiore a quello degli italiani nelle primarie e quasi triplo nelle secondarie di primo grado. Questi indicatori vedono un miglioramento per le seconde generazioni nate in Italia, ma non si può pensare che la soluzione si troverà “da sola”. Ci sono ancora molte coorti con corsi di vita frammentati e che hanno sperimentato marginalizzazione educativa e carriere frammentate.

Per quanto attiene alle seconde generazioni con buone performance educative, queste affrontano comunque problemi identitari e di discriminazione nel mondo del lavoro. Ma ci sono anche importanti diseguaglianze nelle opportunità educative: gli studenti stranieri hanno una probabilità due volte e mezzo superiore agli italiani di frequentare un istituto professionale. A queste, si aggiungono primi segni di segregazione scolastica territoriale. Nelle scuole secondarie superiori la questione desta più preoccupazione, perché si sommano canalizzazione formativa e segregazione spaziale. La segregazione, peraltro, può assumere anche un aspetto più fine, interno alla scuola, che chiama in causa i meccanismi di composizione del gruppo classe.

Le politiche restano un importante predittore degli esiti di selezione prima e integrazione poi degli immigrati e dei loro figli: la questione non è tanto nell’inadeguatezza delle minoranze a inserirsi nel sistema educativo o nei limiti della diversità in sé, quanto nell’inadeguatezza del sistema educativo nel trattare la diversità. Nel caso italiano, è evidente quanto ciò rispecchi e amplifichi problemi strutturali del nostro sistema educativo e del modo in cui governa traiettorie e transizioni educative: universalista nei suoi scopi, si mostra molto selettivo nella pratica e privo di strumenti – curriculari e non – per fronteggiare la complessità di bisogni presenti nelle classi.

Eduardo Barberis è ricercatore presso l’Università di Urbino Carlo Bo, dove insegna Politiche dell’immigrazione e Sociologia urbana