Trent'anni fa il genocidio di Srebrenica, in Bosnia, durante il quale furono massacrate oltre 8 mila persone musulmane durante l’attacco delle forze serbo-bosniache di Ratko Mladić. La città che accoglieva i profughi bosniacchi era stata dichiarata zona protetta, ma questo non impedì il massacro sotto gli occhi delle forze Onu. 

Abbiamo chiesto di ricordare ciò che accadde nel luglio del 1995 al giornalista e scrittore Luigi Riva che per anni è stato inviato speciale nei Balcani e in Medio Oriente, per Il Giorno e L'Espresso, attualmente è editorialista di Domani.

I fatti

“Dopo 4 anni di guerra in Bosnia – dice Riva – i leader delle tre componenti, delle tre fazioni che erano in guerra, Croati, Serbi e musulmani di Bosnia o bosgnacchi, si erano messi d'accordo per arrivare alla fine della guerra facendo in modo che sul terreno si verificassero le condizioni per potere trattare la pace e le condizioni che potessero funzionare per tutte e tre. Vale a dire la creazione nella futura Bosnia di una Repubblica che fosse composta da due entità, la Federazione croato-musulmana e la cosiddetta Repubblica serba di Bosnia, rispettivamente col 51 e il 49 per cento del territorio.

Per fare questo e per accontentare la componente serba bisognava, come purtroppo si diceva allora con un termine orribile coniato proprio per quella guerra, fare una pulizia etnica di tutto quel territorio a maggioranza serba che sta a ridosso del fiume Drina. Il problema è che c'erano delle enclave, Srebrenica e Zepa, abitate in maggioranza da musulmani e per perseguire l’obiettivo bisognava ‘ripulire’ tutta quell'area dalla loro presenza. Quindi il generale Ratko Mladić, comandante militare dei dei serbo-bosniaci, attaccò Srebrenica, dichiarata perònel 1993 zona protetta dalle Nazioni unite.

I musulmani consegnarono le armi e, nel momento fatale in cui i serbi avanzarono, si trovarono così completamente disarmati. Mladić prese la città assieme alla sua soldataglia e a brigate paramilitari: lì successe quello che non avevano previsto i mediatori politici. Il generale, andando molto oltre il suo mandato, decise di fare il genocidio di Srebrenica, classificato come tale sia dall'Assemblea generale delle Nazioni unite l'anno scorso, sia da molte sentenze del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia.

Gli 8473 bosniaci catturati furono uccisi e i loro corpi sepolti in fosse comuni nel giro di tre giorni. Una cifra che i musulmani di Bosnia ritengono sottostimata, parlando invece di 12.000 morti. Da allora anatomopatologi di 32 Paesi lavorano sulle fosse comuni per dare un nome alle persone scomparse, confrontando i reperti di Dna con i parenti ancora in vita. Sino a ora è stata data sepoltura a poco più di 7000 vittime”.

Le responsabilità del genocidio

Il giornalista pone poi l’attenzione sulle responsabilità del genocidio, precisando che non riguardano solamente chi il genocidio l’ha compiuto. “Si è sempre parlato delle responsabilità degli olandesi, le cui forze militari erano presenti nella zona come osservatori, ma io credo che siano state solamente l'ultimo anello di una catena che parte da più lontano, dal palazzo di vetro di New York”, afferma Riva.

“A quell'epoca il segretario generale delle Nazioni unite si chiamava Butros Butros-Ghali, era egiziano e più volte si era detto infastidito dal fatto che il mondo si preoccupasse così tanto di una guerra perché i bambini che morivano erano biondi e con gli occhi azzurri”, vale a dire che sottolineava come invece le guerre in altri luoghi, come ad esempio l’Africa, fossero ignorate.

“Ci furono alcuni soldati olandesi che filmarono alcune delle atrocità che erano state commesse – prosegue – e quei video, che sarebbero stati prove importanti anche per i tribunali, furono cancellati. L'unica conseguenza politica fu che alla fine degli anni 90, per lo scandalo del comportamento dei soldati dei caschi blu olandesi, è caduto il governo in Olanda”.

“È però dal Palazzo di vetro dell’Onu che si è tardato a dare l'ordine di fermare le truppe serbe nonostante la richiesta dei caschi blu olandesi di far alzare in volo gli aerei affinché bombardassero i serbi che stavano entrando a Srebrenica. Quindi ritardi, omissioni, cattiva volontà hanno fatto sì che si arrivasse a tutto questo”, continua Riva.

“Dopo 4 anni di atrocità in Bosnia – aggiunge – ci si poteva aspettare di tutto, anche perché avevamo assistito veramente a una guerra combattuta con metodi medievali e molto feroce e sanguinaria, ma non pensavamo che Mladić sarebbe arrivato a commettere un genocidio e a cercare di occultare 8000 corpi nel giro di 3 giorni. Non c'erano osservatori civili occidentali. Noi giornalisti stavamo a Klavan, vicino a Srebrenica, dove invece era presente solamente la tv serba. Anche per questo l'entità del genocidio è stata chiara solo dopo diversi mesi, quando grazie ai rilevamenti satellitari è stata avvistata dall’alto la terra smossa delle fosse comuni. Si è cominciato a scavare e a capire cosa davvero era successo”.

Dal 1995 a oggi, le condanne e il silenzio 

Il generale Ratko Mladić e l’ex presidente serbo Radovan Karadžić sono stati condannati per genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia. Un atto di giustizia al quale però non si è fatta corrispondere la pacificazione dell’area. 

“Ora a Srebrenica, che fa parte della Repubblica serba di Bosnia a causa di un a decisione strettamente politica – spiega Riva – sono tornati 4.000 musulmani e spesso devono convivere con decine di criminali di guerra e assassini che magari hanno ammazzato i loro cari. Vi la lascio immaginare la situazione”. 

“Dopo l'accordo di Dayton che ha sancito l’attuale assetto, la Bosnia è diventato il Paese dove il tempo si è fermato, come recita il titolo di un libro. Dayton ha avuto il merito di far cessare la carneficina, ma ha fotografato una situazione per la quale non erano affatto risolti tutti i conflitti che avevano generato la guerra”, dice ancora il giornalista 

E aggiunge: “Il conflitto nei Balcani era originato con l'idea che popoli di etnia diversa non potessero vivere insieme e in qualche modo parzialmente questo obiettivo è stato raggiunto, ad esempio riunendo tutti i musulmani di Bosnia in una sorta di tribù in un territorio senza sbocchi al mare”. Questo progetto iniziale ha tenuto vivo il sogno della grande Serbia e della grande Croazia e ciò fa sì che siano sopravvissute le tensioni di 30 anni fa, quelle che hanno scatenato la guerra e che possono essere foriere di sviluppi anche cruenti nel prossimo futuro. Ci sono ad esempio in Croazia consistenti gruppi di estremisti che reclamano per sé l'Erzegovina”. 

“Quindi stanno ancora vivendo in un eterno dopoguerra – sottolinea Riva – dove non è possibile far sviluppare l'economia,che si regge ancora per una percentuale enorme sugli aiuti internazionali. Non si è sviluppata l'industria e i giovani scappano cercando una chance altrove. Abbiamo creato un mostro giuridico e istituzionale che non sta in piedi solamente grazie alla presenza di una missione Onu, ci sono ancora i soldati italiani”. 

Un tragico precedente: dalla Bosnia a Gaza e all’Ucraina 

Tra le peggiori conseguenze c’è quindi quella di “aver permesso che lì passasse il principio per cui popoli di etnia diversa non possono stare insieme: la Bosnia anticipò così il futuro, perché molti concetti che vediamo essersi sviluppati nel mondo nacquero lì”, specifica Luigi Riva.

“La parola nazionalismo è risorta grazie ai nazionalismi dei Balcani e ha fatto scuola e lo stesso i secessionismi. ‘Tutti i serbi in uno stato’ diceva Milosevic ed è lo stesso che dice Putin in relazione alla guerra all’Ucraina. Anche il conflitto campagne-città – ricorda – lo abbiamo rivisto nelle scelte per la la Brexit e l’elezione di Donald Trump, basti andare a vedere da dove provengono i voti”.

‘Separare i vivi o contare i morti’ è uno slogan che ha fatto proseliti e ha fatto sì che il mondo sposasse i suddetti nazionalismi, seccessionismi, sciovinismi di ‘prima gli italiani’, ‘prima gli americani’, prima chiunque si voglia a discapito di quello che fino ad allora sembrava l'orizzonte dell'umanità, cioè la multiculturalità e la multietnicità.

“Ora – conclude – si scopre che a Gaza, che dal punto di vista geopolitico è molto più importante, sta accadendo tutto quello che noi avevamo già permesso 30 anni fa. Non è un caso quindi che per quest’anno si parli di 100.000 persone presenti a Sarajevo per la cerimonia dell'11 luglio. In occasione del decennale o del ventennale non c’è mai stata una simile partecipazione, perché ora l’assonanza con quanto sta accadendo a Gaza e in Ucraina è evidente”.