Ci sono molti modi per farsi odiare dai potenti. C’è chi li sfida con le armi, chi con i tribunali, chi con l’arte. Francesca Albanese ha scelto il più efficace e imperdonabile: sfidarli con la verità, senza inchini, senza formule di cortesia, senza il deodorante della diplomazia. Ha chiamato “genocidio” ciò che altri, con la voce rotta dall’ipocrisia, definivano “operazione militare”. Ha fatto il suo lavoro, che è osservare e denunciare, anziché confonderlo con quello dell'addetto stampa dell’Occidente.

Ha seguito i soldi, contato le bombe, mappato gli appalti. Ha fatto nomi, cifre, luoghi. Ha osato profanare l’intoccabile: il mercato della guerra, quello che ingrassa Amazon, Alphabet e Palantir. Risultato, bruciata viva nel grande barbecue dell’opinione pubblica, con carbonella israeliana, accendino americano e silenzio italiano nel ruolo di tovagliolo sulla bocca.

Il suo peccato? Trattare Gaza come un tema di diritto, non di storytelling. Nominare l’innominabile. I profitti sulla distruzione, la complicità nei crimini, la farsa dei comunicati ufficiali. Ha osato dire che l’occupante non è la vittima e che un osservatore imparziale non è automaticamente un terrorista. Un gesto rivoluzionario, nel tempo del politicamente conveniente.

Il contrattacco è stato prevedibile e miserabile. Dossier cucinati al microonde, campagne Google diffamatorie e sanzioni partorite nella segreteria creativa del trumpismo nostalgico. E poi l’Italia, nel ruolo che le riesce meglio: tappezzeria con tendenze decorative. Muta, ferma, lucida la coscienza con un panno in microfibra, sperando che passi presto.

Ma non è lei il solo bersaglio. È l’idea stessa che la verità possa ancora sedersi al tavolo internazionale. E allora tocca a noi. Fare barriera con le parole, rompere la coreografia del disonore. Proporre Francesca Albanese al Nobel per la Pace, come indicano alcune associazioni, non è un semplice omaggio, ma un atto politico. Un dito nell’occhio a chi la vorrebbe zitta, piegata, cancellata. E invece la troverà viva, lucida, ostinata.