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Genocidio. La Corte penale internazionale e il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia hanno stabilito – in varie sentenze – che il “massacro di Srebrenica” fu un vero e proprio “genocidio”.
Nel luglio di trent’anni fa infatti, durante la guerra nei Balcani, l’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina trucidò 8 mila tra ragazzi e uomini, tutti appartenenti al gruppo etnico dei “bosgnacchi”, i musulmani della Bosnia-Erzegovina.
Migliaia di famiglie furono strappate dalle proprie case, spinte verso i campi profughi improvvisati: e tutti i maschi separati dalle famiglie, trucidati e poi sepolti in fosse comuni. Perché in quell’area non ci fosse più presenza né futuro per un gruppo etnico e religioso diverso da quello allora “dominante”. Letteralmente e giuridicamente un genocidio.
C’era una guerra in corso, con tutte le insensate e disumane atrocità che ogni guerra comporta. Gli autori di quel genocidio avevano trovato le proprie “buone ragioni”: nei mesi precedenti, dicevano, i bosniaci musulmani avevano attaccato i villaggi dei bosniaci di origine serba.
La propaganda degli ultra-nazionalisti della destra serba racconta ancora oggi di quasi 3.500 serbi uccisi: il Tribunale penale internazionale e l’Onu ne hanno riconosciute effettivamente all’incirca mille. Vittime, senza dubbio: ma vittime utilizzate per realizzare un genocidio.
Da subito, già nel luglio 1995, cominciarono le sacrosante polemiche per il ruolo – per l’assenza di ruolo – della comunità internazionale. In particolare, in quel caso, per le truppe Onu messe a protezione dell’area, l’esercito olandese. Che non intervenne in alcun modo, così come non intervennero gli aerei americani pur richiesti per fermare l’esercito della Repubblica Serba di Bosnia.
Però, seppur tardivamente, intervenne la Giustizia. La giustizia internazionale, quella che serve a far sì che nessun dittatore o nessun massacratore – in qualsiasi parte del mondo e anche in tempo di guerra – pensi di poterla fare franca.
Negli anni successivi, la Corte penale internazionale e il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia hanno condannato 21 persone per il “genocidio di Srebrenica”. Tra questi c’è Ratko Mladić, il generale dell’esercito della Repubblica Serbia di Bosnia, che organizzò e realizzo quel massacro.
E tra questi c’è soprattutto Radovan Karadžić: era, all'epoca, il presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. E fu condannato perché fu lui a dare l’ordine e a coprire politicamente quel genocidio.
Entrambi, il generale dell’esercito e il presidente della Repubblica autori del massacro, furono condannati all’ergastolo. Ed entrambi lo stanno scontando nelle galere dell’Aja. Perché l’umanità può compiere atroci nefandezze: ma l’umanità può fare giustizia.
E se questa storia di guerre, vendette, genocidi, pulizie etniche, comunità internazionale assente o con la doppia morale, responsabilità politiche altissime e necessità di far applicare le sentenze della giustizia internazionale – anche se coinvolgono un capo di Stato – vi richiama alla mente ciò che succede oggi a Gaza e vi sembra drammaticamente attuale, avete ragione. Lo è.
Andrea Malpassi, Area Politiche europee e internazionali Cgil