C'erano tutti. Per l'ennesima manifestazione a Piombino, la prima dell'era Aferpi, operai, sindacati e istituzioni locali si sono ritrovati per chiedere risposte. Di nuovo. Perché all'indomani dell'incontro del 30 novembre al ministero dello Sviluppo economico, il futuro sembra ancora incerto e lontano. Nel corso dello sciopero generale, un corteo è partito dalla fabbrica e, snodandosi per le vie del centro cittadino, è arrivato in una delle piazze centrali. Dal palco si sono succeduti gli interventi di operai in cassa integrazione, rappresentanti sindacali e amministratori locali.

"Dopo sei mesi siamo ancora qui a discutere” ha esordito il segretario generale della Fiom Cgil Maurizio Landini: “Noi non siamo di fronte a un semplice non accordo, ma a una truffa verso il territorio, il sindacato e le istituzioni. Il punto che emerge con forza dall'incontro fatto e da questa manifestazione non è che non crediamo agli impegni presi, ma che il tempo delle chiacchiere è finito”. Secondo Landini, “o nelle prossime settimane diventano operativi oppure occorre che tutti insieme assumiamo una responsabilità molto precisa. Non siamo di fronte a un problema territoriale, questo è un problema di credibilità del paese”. Prima di Natale è previsto un nuovo incontro, ma questa volta le risposte dovranno essere soddisfacenti, altrimenti la discussione si trasferirà a Palazzo Chigi.

“Per alcuni la crisi è passata, ma quando partecipiamo a riunioni come quella al ministero ci accorgiamo che ancora non è finita” interviene il segretario nazionale Uilm Mario Ghini: “È stata una riunione deludente, le richieste hanno avute poche risposte ritenute insignificanti. Il piano industriale andrà avanti, ma annuncia dei cambiamenti e soprattutto ulteriori ritardi. C’è un azionista, noi chiediamo che questo azionista si sieda al tavolo”. Lunedì scorso, infatti, l'amministratore delegato Fausto Azzi ha illustrato un preciso piano industriale, mostrando ottimismo ma tornando indietro su quanto già dichiarato a ottobre dal suo predecessore Farid Tidjani.

Inoltre è stato preso atto dei sei mesi di ritardo, sinonimo della sottovalutazione delle cose da fare. Tra quelli ancora in cassa integrazione, saranno solo 50 i lavoratori a rientrare in fabbrica, perché non c'è stato l'aumento di produzione previsto in mancanza di semiprodotto; le dismissioni non inizieranno a dicembre, ma “a brevissima scadenza”, come recita la nota, “partiranno 12 progetti di smantellamento, mentre si fa sempre più concreto il piano per la rilocalizzazione in Brasile dell'altoforno, dell'acciaieria e della cokeria, in tutte le loro parti” (idea questa che suscita non pochi sospetti tra gli operai); la trattativa per l'acquisto del forno elettrico non sarà chiusa entro la fine dell'anno, mentre quella per un costo dell'energia più competitivo a livello internazionale è in via di definizione.

Per quanto sia stato stilato un cronoprogramma preciso, in grado di tenere aperta una sufficiente linea di credito e fiducia, per i sindacati le promesse non sono state mantenute. A deludere i sindacati è stato anche il governo: alla riunione erano presenti solo il sottosegretario all'Ambiente Silvia Velo e Giampiero Castano, responsabile dell’unità di gestione vertenze del ministero dello Sviluppo economico. Assente invece il ministro Federica Guidi e i rappresentanti di Infrastrutture e Lavoro, da cui si attendevano risposte importanti riguardo ad alcune previsioni dell’Accordo di programma. A Piombino è scesa così in piazza la delusione, la rabbia e la paura, tra contratti di solidarietà in scadenza e casse integrazioni da rinnovare ma comunque non sufficienti alle famiglie per arrivare a fine mese.