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Il 2015 si avvia verso la fine e i dati disponibili consentono di fare una prima valutazione degli effetti delle politiche europee e nazionali per rilanciare l’economia. Se alla fine del 2014 restavano ancora tre paesi con un Pil negativo (Cipro, Italia, Finlandia), adesso anche questi hanno invertito il segno. È difficile misurare il contributo che a questa inversione del ciclo è venuto da componenti esogene come il crollo del prezzo del petrolio e dalle politiche monetarie, che hanno prodotto una consistente svalutazione dell’euro e la creazione di nuova liquidità. Ma l’inversione c’è stata, anche se appare ancora fragile e molto differenziata da paese a paese. Ora si tratta di consolidarla e accentuarla con misure espansive immediate e soprattutto efficaci.
Riprendiamo le nostre consuete elaborazioni ospitate in questa rubrica di Rassegna, volte ad analizzare le tendenze a breve della congiuntura, per cogliere le componenti specifiche del nostro ciclo economico. I fattori di possibile ripresa non appaiono omogenei. La domanda misurata dalle vendite al minuto è in leggero miglioramento: tra giugno e agosto era cresciuta dell’1,1%, a settembre risulta aumentata dell’1,3%. Più preoccupanti i dati relativi all’offerta: la produzione industriale cresce meno dei tre mesi precedenti, e questa tendenza al peggioramento si manifesta in misura più accentuata nel fatturato e negli ordinativi. I dati sono destagionalizzati, quindi il fatto che l’ultimo mese sia un mese anomalo come agosto non dovrebbe influire molto. E negativi appaiono anche i dati sull’export. Influenzati dalla caduta delle esportazioni verso i paesi extra Ue.
Nell’insieme, quindi, non sono presenti a oggi segni inequivocabili di ripresa della domanda e dell’offerta e sarà opportuno attendere i dati di settembre per fare una valutazione più solida. Al mese di settembre si riferiscono invece i dati sull’occupazione, che mostrano una sostanziale stabilità dei tassi di occupazione e degli occupati. Proprio perché si dispone anche dei dati di settembre è utile tentare una valutazione degli effetti delle politiche economiche di cui si parlava all’inizio e delle specifiche politiche sul lavoro, che hanno visto funzionare la decontribuzione delle nuove assunzioni a tempo indeterminato e la deregolamentazione dei licenziamenti.
I dati assoluti riportati nel grafico mostrano i maggiori occupati in più registratisi nel 2015 rispetto al 2014. Come si vede, c’è un incremento dell’occupazione. Ma la sua tendenza manifesta oscillazioni. Gli occupati a gennaio 2015 erano stati superiori al 2014 di 179.000 unità. Ad aprile ed ad agosto si erano registrate due punte che avevano fatto pensare che l’occupazione potesse stabilizzarsi a 300 mila occupati in più. Ma i dati di settembre riportano l’incremento sotto le 200.000 unità, ed è probabile che questo possa essere il livello di occupati in più prodotti dalla combinazione delle diverse politiche. Se così fosse, occorrerà ragionare sull’efficacia delle misure adottate, che non sono solo di deregolamentazione, ma anche di consistenti incentivi economici. Se solo per le assunzioni fatte nel 2015 si spenderanno per i prossimi tre anni più di 10 miliardi, occorrerà ragionare sulle nuove assunzioni previste dalla legge di stabilità per il 2016, sui loro costi e sulla loro efficacia.
A questo punto si potrebbe e dovrebbe fare un bilancio vero e proprio, mettendo all’attivo 200.000 occupati in più e al passivo i costi sostenuti in termini monetari e di riduzione dei diritti. Nel saldo, in ogni caso, un risultato abbastanza magro, non migliore di quello degli altri paesi europei e molto, molto lontano da quello che servirebbe per rispondere alla massa enorme di disoccupati e scoraggiati che non accenna a diminuire. Insomma, la dimensione raggiunta dal non lavoro richiede ben altro rispetto a quanto si è fatto. Richiede che gli incentivi siano destinati esclusivamente a coloro che creano nuova e buona occupazione. Ma richiede anche che in parallelo si aprano altri sentieri di ricerca volti a redistribuire il lavoro esistente e a dare un minimo di reddito a chi suo malgrado è escluso.