Stipendi di luglio dimezzati, quattordicesima congelata, assegni familiari decurtati, rimborsi non versati, ferie e permessi sospesi contro ogni normativa. È stato questo il Ferragosto che i 4000 addetti della catena di grande distribuzione Dico Tuodì sono stati costretti a vivere. A denunciarlo è la Rappresentanza sindacale aziendale e lo conferma anche la Filcams Cgil: “Da 4 anni viviamo una situazione di assoluta precarietà, senza che ci sia stato presentato un piano industriale realistico per invertire la rotta. L’impressione è che l’azienda ci stia portando allo sfinimento per accettare il fallimento del gruppo come un fatto ineluttabile”.

La situazione, in effetti, non più sostenibile, tanto più che, ad oggi, non è stato chiarito come sia stato possibile accumulare 350 milioni di debito pur avendo avuto la possibilità “di ripartire con basi solide grazie ai capitali scaturiti dall’accordo con Coop del marzo 2013”. Persino al tavolo istituzionale del Mise, l’azienda non ha fatto chiarezza sui circa 100 milioni di plusvalenza derivati in quell’occasione che si sarebbero dovuti reinvestire nell'azienda. Dal 2013, sono state avviate solo procedure di esuberi e di cassa integrazione che hanno già lasciato a casa un lavoratore su quattro, con il taglio di 5 centri di distribuzione, tra cui quello di Napoli, 2 sedi amministrative e circa 100 punti vendita.

Uno scenario drammatico, peggiorato l’11 luglio scorso, quando, in seguito del concordato fallimentare, l’azienda ha chiuso, anche se dice temporaneamente, altri 123 punti vendita, lasciando a casa altri 650 lavoratori. Il 3 agosto l’azienda ha fatto richiesta di Cigs per i 2000 addetti diretti rimasti.

“Come sindacato - conclude la Filcams - ora, aspettiamo solo, oltre che la convocazione al tavolo tecnico per la cassa integrazione, l’arrivo del 19 settembre, quando l’azienda si è impegnata ancora una volta a portare al tavolo del Mise il piano di rilancio. Se davvero esiste, deve essere portato alla luce: per quanto ci riguarda, sarà l’ultima occasione per verificare l’attendibilità dell’azienda a proseguire l’attività. Non permetteremo a nessuno di giocare con le nostre vite”.